mercoledì 7 luglio 2010

Ancora su Judith Butler

E' stato fatto notare che il mio precedente post non informava bene od in modo pienamente comprensibile sul pensiero di Judith Butler, e devo ammettere che non era questo il mio scopo, dacché io volevo soltanto attirare l'attenzione di aveva già letto la Butler sui possibili legami tra il suo pensiero e quello ebraico.

Però l'esigenza manifestata è giusta, e provo ora a riassumere il suo pensiero per un principiante.
Normalmente noi distinguiamo tra "sesso" e "genere": "sesso" è il dato corporeo, "genere" ciò che una persona fa in quanto maschio o femmina.

Perciò, chi giustifica l'eterosessualità osservando che gli organi maschili e femminili sono fatti per incastrarsi, descrive il "sesso"; chi invece spiega il modo in cui maschi e femmine si sono spartiti i compiti nella notte dei tempi, descrive il "genere".

La concezione a cui si oppone la Butler è questa: poiché i sessi sono due, e non ci possiamo far niente, anche i generi devono essere due.


Qui c'è un punto debole in quello che scrive la Butler, ed in quello che ho riportato io, ed al quale bisogna presto rimediare: nella specie umana la riproduzione esige che una persona che produce uova (la femmina) incontri una persona che produce spermatozoi (il maschio).


Che nella specie umana i sessi siano due è una cosa che biologicamente non si può contestare; in un libro di teoria dei giochi si era proposto come esercizio per il lettore di immaginarsi una specie in cui i sessi fossero più di due - ma non ho nemmeno provato a farlo, e non so nemmeno perciò se l'esercizio finiva con il dimostrare che una specie simile può o non può sopravvivere.


La Butler non prende di petto questo dato biologico; si limita ad osservare che soltanto a partire dal 19° Secolo la società ha voluto classificare per forza tutte le persone in "maschi" o "femmine"; in realtà circa il 5,7% dei bambini nasce "intersessuato", ovvero non è possibile determinarne il sesso in modo univoco.


Nel Medioevo queste persone venivano dichiarate "ermafroditi"; attualmente si attribuisce loro uno dei due sessi canonici, e talvolta si chiede al chirurgo di rendere i loro genitali esterni di aspetto coerente con il sesso prescelto.


Un esempio di intersessualità che mi aveva colpito era la "Sindrome di Morris" - ce l'avevano fatta studiare all'università proprio per insegnarci che non tutto è semplice ed ovvio come appare.


Riassumo quello che ho trovato in questo sito.


I cromosomi sessuali femminili sono XX, quelli maschili XY; se un bimbo viene concepito con i cromosomi XY, le ghiandole genitali originarie si trasformano in testicoli, che cominciano a produrre testosterone, che dovrebbe dirigere l'evoluzione del feto in senso maschile.

Ma in alcune persone manca un enzima che permette al testosterone di fare effetto, e si dice che soffrono di "insensibilità agli androgeni".


I medici hanno individuato sette gradazioni di quest'insensibilità - si va dal grado 1, in cui si hanno solo dei problemi di fertilità perché il testosterone prodotto non è utilizzato al meglio, al grado 7 che ora descrivo.


I feti con completa insensibilità agli androgeni, o "Sindrome di Morris", sviluppano dei genitali esterni femminili, che convincono l'ostetrico che li fa venire al mondo a dichiararli femmine all'anagrafe - e nel 50% dei casi nessuno si accorge di nulla fino alla pubertà.


Alla pubertà, la bimba diviene una donna alta, con un grande seno, i fianchi a clessidra, ma ... non ha un pelo "superfluo" e non ha mestruazioni.


Il ginecologo si accorge subito che i capezzoli sono rimasti da bimba, la vagina è corta, e non c'è l'utero; se fa un'ecografia si accorge che mancano anche le tube, che al posto delle ovaie ci sono i testicoli - e l'esame del DNA non fa che confermare la diagnosi.


Il caso è interessante perché questa paziente (che è sterile, perché i testicoli che si ritrova non possono produrre spermatozoi) è cromosomicamente un maschio e le sue gonadi sono maschili, ma i genitali esterni ed i caratteri sessuali secondari sono da femmina.


Quale criterio deve prevalere nell'attribuirle il sesso? Che io sappia, nessuno prova a cambiarle il sesso attribuito alla nascita, e lei continua a vivere come una femmina.


Casi come questo fanno pensare che il sesso non sia solo una questione corporea, ma anche culturale, perché culturale è la scelta del criterio che deve prevalere nei casi dubbi come questo, e culturale è la scelta di non voler riconoscere gli "intersessuati" come sesso (o sessi) a parte, ma di volerli far rientrare a forza e col bisturi in uno dei due sessi canonici.


A questo punto non si può più sostenere che il sesso è un dato puramente naturale, e che il genere deve corrispondergli per forza: il genere è un'invenzione della società, e dev'essere compatibile con il sesso corporeo se il nostro scopo è riprodurci sessualmente; ma se non abbiamo quest'ambizione (perché non vogliamo figli, o perché vogliamo ricorrere alla fecondazione assistita), il sesso non limita più il genere.


Se il genere non è più il comportamento che corrisponde al sesso di una persona, che cos'è? La Butler risponde come ho già scritto: il genere è "performativo": noi ci comportiamo come se il genere esistesse davvero, e così facendo lo rendiamo "reale".


In altre parole, il genere è una storia che noi raccontiamo a noi stessi ed agli altri, con le parole e con le azioni, per convincerli e convincerci che noi siamo proprio di quel genere lì.


Il paragone che può sembrare troppo "stiracchiato" tra la storia di Buber ed il brano della Butler nasce dal fatto che in entrambi casi i lettori scoprono che quello che conta è la storia che viene raccontata. Se contasse la pura fede, il rabbino Israel di Rizhin non avrebbe avuto bisogno di raccontare nulla all'Eterno, tantopiù che egli è onnisciente.


Certo, ammetto che è più facile paragonare l'appartenere ad un genere con l'appartenere ad un popolo, ma tempo fa avevo letto (in francese - esiste anche una traduzione inglese) il famoso libro di Shlomo Zand "Quando e come fu inventato il popolo ebraico", che dice pressappoco le stesse cose: appartenere ad un popolo significa condividere alcuni "miti di fondazione", che non necessariamente sono storicamente veri, ma che danno a tutti la stessa storia da raccontare.


[Anche il movimento LGBT ha il suo mito di fondazione, analogo alla guerra di Troia od all'assedio di Masada : la brutale irruzione della polizia di NYC nel bar Stonewall, avvenuta  il 27 giugno 1969, che provocò una rivolta.]


Il libro di Zand non dice niente di particolarmente sovversivo (e neanche di particolarmente nuovo); ma non si può pretendere dagli ebrei religiosi che ammettano quello che gli italiani ed i sardi ammettono volentieri - cioè che loro sono un popolo perché ad un certo punto hanno deciso di descriversi così, e non perché Dio lo ha voluto, e per questo il libro ha suscitato scandalo.

Gli ebrei sono un popolo particolarmente longevo, e mi auguro che continuino a vivere a lungo, ma non è garantito che questo popolo viva in eterno.


Se conserviamo la dicotomia tra maschi e femmine, non ritengo il caso di escludere i gay dal genere maschile e le lesbiche dal genere femminile; se invece i generi proliferassero, toccherebbe agli interessati stabilire a quale genere vogliono essere ascritti :-)

Il paragone tra il genere ed il Dio descritto dal brano talmudico "Se voi siete miei testimoni, io sarò il vostro Dio ..." mi pare perfettamente corretto; allo stesso modo il "macho" e la "donna fatale" non sanno se esistono il "vero uomo" e la "vera donna", ma fanno di tutto per imitarli.


La Butler dice che di queste persone bisogna ridere perché fanno di se stesse le copie di un originale che non esiste; ma non possiamo ridere solo di loro, perché tutti noi abbiamo un genere, e tutti noi siamo obbligati ad imitare ciò di cui non esiste l'originale - quindi dobbiamo ridere di noi stessi.


La Butler osserva che spesso i gay e le lesbiche scimmiottano il modo di amare degli eterosessuali. In teoria ci si dovrebbe indignare, perché una delle basi dell'eterosessualità è l'emarginazione dell'omosessualità; nei fatti, secondo Butler, la cosa da fare è trasformare l'imitazione in parodia.


Nella parodia chi la recita si rende conto dei meccanismi che fanno funzionare l'opera originale, e li espone al pubblico ludibrio; e la parodia più efficace per la Butler è data dalla "drag queen", cioè l'uomo che si traveste da donna, e finge di avere caratteri sessuali secondari prorompenti.


Ma secondo me non sono meno efficaci il gay che "schecca", cioè si comporta in modo esageratamente effemminato [caso abbastanza raro], oppure la lesbica "camionista", cioè che fa il rude maschiaccio [caso raro anche questo]; essi non cercano solo un compagno che li completi, ma attirano anche l'attenzione sulle assurdità a cui l'eterosessualità talvolta costringe chi la pratica.


Ad un amico gay ho chiesto se l'"amour fou" si può mettere in conto all'eterosessismo, ovvero al fare della necessità di riprodurre la specie la base dell'educazione e della vita sociale, e la giustificazione per emarginare chi non si riproduce o non è eterosessuale.

Né io né lui abbiamo saputo rispondere, ma la domanda era certo interessante.

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