venerdì 26 febbraio 2010

L'ebreo dentro e chi lo vuole sterminare

http://www.nytimes.com/2010/02/25/world/europe/25iht-poland.html


Una lettura superficiale dell'articolo porterebbe soltanto alla conclusione che "nessuno è irrecuperabile"; una lettura più attenta evidenzierebbe che la persona più crudele con gli ebrei è quella che vuole sterminare l'ebreo dentro di sé.

Non è solo la storia di Pawel a mostrarlo - l'espulsione dei "marranos" dalla Spagna nel 1492 e dei "moriscos" nel 1610 ebbe questa motivazione; e credo che all'antisemitismo russo abbia contribuito parecchio la lotta contro i "giudaizzatori", che mescolavano nella dottrina e nel comportamento elementi cristiani ed ebraici.

Il problema più grosso da questo punto di vista è dato dall'antisemitismo presente in buona parte delle dottrine islamiche, che non si alimenta soltanto di alcuni feroci versetti coranici, ma anche del timore che molti "ahadith" (plurale di "hadith", cioè detti e fatti attribuiti a Maometto, e perciò fonte del diritto), già di per sé poco credibili, siano stati inventati da ebrei che si erano convertiti all'islam per danneggiarlo.

Lo studio dell'attendibilità degli "ahadith", è un importante branca del diritto islamico; ma vedo che il modo più efficace per screditare un "hadith" è proprio dichiararlo un'"israiliyya", cioè una panzana di origine ebraica, pleonastica nel migliore dei casi, nociva nel peggiore e più frequente.

Non sembra possibile risolvere il problema nel modo più "ovvio", cioè individuare le "israiliyyat" una volta per tutte e "disinnescarle" trasferendole dalla religione al folklore; con esse i mussulmani dovranno sempre convivere, così come con gli "ahadith" di scarsa attendibilità e su cui talvolta si basano norme di dubbio valore.

Mi chiedo se sarà possibile perlomeno evitare che queste "israiliyyat" motivino un pericoloso odio antisemita, in cui si delegittima l'ebreo fuori per rendere inoffensivo l'ebreo dentro. 



Forse il boicottaggio che gli intellettuali egiziani osservano da decenni nei confronti dei loro colleghi israeliani non è soltanto motivato da un malriposto zelo filopalestinese (sostengo il diritto dei palestinesi ad uno stato, ma anche che la cultura dovrebbe essere tenuta fuori da queste contese), ma anche dal timore che rapporti più stretti tra Isreale ed Egitto possano provocare una nuova alluvione di "israiliyyat" - se non nella forma di "ahadith" apocrifi (non è più possibile aggiungerne alle raccolte esistenti, e la tendenza è anzi quella di sfrondarle), nella forma di concetti o modi di pensare che di islamico hanno molto poco.


Mi pare un timore irragionevole, anche se rispecchia quello ebraico di venire assimilati; non saprei però come rassicurare gli ebrei ed i mussulmani che saranno sempre in grado di metabolizzare le influenze esterne senza lasciarsene snaturare.

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