mercoledì 24 febbraio 2010

Cultura di sinistra ed 'asabiyya di Berlusconi

http://www.repubblica.it/politica/2010/02/24/news/berlusconi-promotori-2410808/

Berlusconi dice che la sinistra punta "all'invasione di stranieri perché pensa che si possa cambiare il peso del voto che ha visto la vittoria dell'Italia moderata".

L'accusa è inverosimile, se non altro perché la sinistra sa benissimo che è abbastanza improbabile che i naturalizzati italiani possano diventare così tanti (e così elettoralmente compatti) da cambiare le fortune della sinistra.

Inoltre, quando l'integrazione avrà successo, questo problema smetterà di condizionare i loro comportamenti elettorali, ed i naturalizzati voteranno come gli altri italiani - chi a sinistra, chi al centro, chi a destra. Ci vorranno trecento anni, ma alla fine la variabile "origine etnica" non sarà più elettoralmente significativa.

Se si vuol naturalizzare un buon numero di stranieri, non è per calcolo elettorale, ma per motivi più nobili.

Berlusconi non dice queste cose perché sono ragionevoli, ma perché sono quelle che i suoi elettori vogliono sentire da lui. Se essi fossero dei creazionisti, direbbe loro che i dinosauri sono stati creati insieme con l'uomo e si sono estinti perché dio ha vietato a Noé di caricarli sull'arca.

A questo punto dobbiamo chiederci perché mai gli elettori del PDL temono un'"invasione di stranieri" volta a snaturare l'Italia - e perché io non ho questo timore.

Per me un paese è fatto dalla sua cultura, ovvero da un bene immateriale; caratteristica dei beni immateriali è che chiunque può goderne senza con questo impedirne il godimento altrui, e l'esempio più chiaro è un programma radiofonico: chi lo ascolta non impedisce a nessun altro di farlo.

Per giunta, se ci sono beni immateriali, come i film ed il software, che devono essere sviluppati con strumenti costosi, altri hanno bisogno solo del cervello del loro autore - come le poesie e le narrazioni.

Inoltre i beni immateriali si possono combinare in modo virtualmente illimitato - e buona parte dell'attività degli intellettuali sta nel conciliare idee e concetti solo a prima vista incompatibili.

Questo rende la concorrenza nel campo dei beni immateriali di ben altra portata che in quello dei beni materiali: chi sta mangiando ora un panino infornato da Gianni non sta mangiando un panino infornato da Giorgio; mentre chi legge Dante Alighieri può leggere tranquillamente anche William Shakespeare.

Anzi, è altamente raccomandato, visto che già Tommaso d'Aquino diceva: "Timeo hominem unius libri - Temo l'uomo (che è lettore) di un libro solo".

Ed ora arrivo al punto finale: se la concorrenza tra i produttori di beni materiali livella i guadagni di tutti, quella tra produttori di beni immateriali è invece un possente stimolo creativo, perché ogni autore può riprendere (nel linguaggio informatico si dice "riutilizzare") motivi esposti da altri e rielaborarli in modo originale.

L'autore che con le sue sole idee riuscirebbe a comporre appena una mezza dozzina di opere di buon livello, grazie alle idee che riprende dai suoi colleghi di opere valide può scriverne una sessantina, e senza rendersi reo di plagio se sviluppa queste idee in modo originale e (magari) riconosce i debiti verso chi gliele ha date.

Per un autore creativo non ha perciò senso chiedere l'istituzione di quote nel Parnaso, oppure l'ostracismo di altri autori per motivi politici (stupidaggine in cui eccellono gli egiziani nei confronti degli israeliani) o di altro genere (quanti pregiudizi devono soffrire le donne, i gay, i/le trans quando creano?): più autori ci sono, più idee circolano, più florida è l'arte.

Se io la penso così (anche se chiamarmi "autore creativo" non ha molto senso), non vedo niente di male nell'ingresso degli stranieri in Italia e nel naturalizzarli (salvo demerito, ovviamente), anzi, lo ritengo un modo per dare aria a questo paese ammuffito.

Chi invece tratta il proprio paese come tratterebbe la propria famiglia, ed identifica le ricchezze di entrambi nel loro patrimonio materiale, ragiona invece in modo assai diverso.

Il capofamiglia mediterraneo stereotipico, il protagonista della "Repubblica dei cugini" descritta da Germaine Tillion, ragiona in questo modo: la ricchezza è frutto esclusivo del mio lavoro, e non anche di quello degli altri (non gli viene in mente che non potrebbe coltivare la terra se nessuno infornasse il pane per lui). E poiché questo patrimonio cresce con molta lentezza (e non sono previste innovazioni tecnologiche strabilianti), la ricchezza personale è data soprattutto da ciò che si è ricevuto in eredità.

E' pertanto essenziale che la propria eredità non finisca in mano ad estranei, e mentre chi vive del proprio talento (artistico o manageriale) ritiene l'imposta di successione indispensabile per dare ad ogni generazione eguali opportunità (Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, disse ad un Barack Obama non ancora presidente che un'economia senza imposta di successione era come una squadra nazionale che mandasse alle Olimpiadi i figli ed i nipoti dei campioni del passato, non gli atleti migliori), chi non vive di questo talento la aborrisce.

Che l'economia italiana non sia basata sul talento lo dimostra quest'articolo sull'immobilismo delle società quotate in borsa: in 15 anni (gran parte dei quali sotto il governo di Berlusconi e della destra) nessuna società che rappresenti l'innovazione tecnologica è riuscita a farsi ammettere nell'indice Ftse/MIB, a dimostrazione dell'arretratezza dell'economia italiana.

Ma l'arretratezza non si può risolvere se non si fa ricerca, ed a questo proposito non posso che ripetere quello che ho osservato altrove - cioè che distinguere la "ricerca pura" dalla "ricerca applicata" è un errore colossale, instaurato in Italia dal regime fascista (che così avviò l'uscita dell'Italia dalle grandi nazioni), e che è figlio della stessa mentalità da stereotipico capofamiglia mediterraneo che persegue il "buon matrimonio" che imparenta con una grande e ricca famiglia, e svaluta (nel caso dei maschi) o vieta (nel caso delle femmine) le esperienze che ad esso non portano.

Che questo sia sbagliato in campo sentimentale e sessuale ormai quasi tutti se ne rendono conto; ma pochissimi se ne rendono conto in campo scientifico e culturale. Il risultato è che l'Italia non può progredire perché viene vietato ai suoi scienziati ed uomini di cultura di avere l'apertura mentale che ci vuole per scoprire qualcosa di nuovo.

E questo è più dannoso dei ricorrenti tagli dei fondi alla scuola ed alla ricerca; non si possono perciò creare dei beni immateriali di valore, ed il ricco continua ad essere colui che ha un grande patrimonio materiale, e la cui famiglia ha saputo difenderlo nel corso delle generazioni dagli "estranei".

Se una volta l'estraneo più temuto veniva dal grembo della moglie o delle congiunte, ora viene da fuori. Ma la mentalità del capofamiglia mediterraneo è sempre quella.

Per riprendere l'esempio di prima, le figlie di costui tradizionalmente non contano per se stesse, ma come pedine matrimoniali - in quanto consentono di legare l'eredità della propria famiglia con quella di altre famiglie. Sessualità e sentimenti divengono risorse economiche, che vanno trattate con la stessa oculatezza dei terreni agricoli.

Ma il patrimonio familiare ora non è dato soltanto dai diritti sui beni immobili o sui beni materiali; anche un diritto di relazione, come un rapporto di lavoro oppure una funzione pubblica, arricchiscono la famiglia. Ed infatti ora si dice che siano le loro stesse mamme ad incoraggiare le figlie a "concedersi al drago" in cambio di un lavoro od una carica. La sessualità è sempre una risorsa economica familiare.

Inoltre, se la primaria fonte di ricchezza e legittimazione per una persona viene dalla propria famiglia, sviluppare una lealtà nei confronti di altre istituzioni diventa impossibile.

Cercare un lavoro od un'opportunità economica senza raccomandazioni né mazzette (in denaro od altra "utilità"), solo sulla base dei propri meriti, giova alla collettività, ma offende la propria famiglia, che oltretutto viene impoverita dal non partecipare a questo scambio di favori.

L'idea che possano esserci delle regole uguali per tutti, che permettano ai singoli individui di essere rispettati in quanto tali e di emergere in proporzione ai loro meriti ed indipendentemente dalla loro origine familiare od etnica, non può entrare in testa a questi capifamiglia mediterranei - se si professano liberali, è perché del liberalismo apprezzano solo la libertà di contratto (che arricchisce) e non l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (che mette in pericolo il rango sociale della propria famiglia).

Curiosamente per questi islamofobi ignoranti, l'autore che meglio ha spiegato il funzionamento di queste famiglie è un arabo mussulmano, 'Abd-ar-Rahman Abu Zayd ibn Muhammad ibn Muhammad ibn Khaldun al-Hadrami (1332-1406) - più noto come Ibn Khaldun; nella sua "Muqaddimah = Introduzione [alla storia universale]" egli spiegava che la forza delle dinastie al potere negli stati sia mussulmani che infedeli stava nella loro "'asabiyya = lealtà di gruppo", che dava loro la forza di conquistare e conservare il potere.

Quando gli agi della vita di corte indebolivano la tempra dei regnanti, e si cominciavano ad affidare ruoli politici ed amministrativi importanti ad estranei, l''asabiyya si indeboliva ed alla fine la dinastia si avviava verso la decadenza, esercitando un potere solo di nome, oppure venendo semplicemente deposta dal trono.

Dove lo stato e la società civile sono deboli, e questo accade in gran parte d'Italia, le famiglie si comportano come le dinastie studiate da Ibn Khaldun, e le reazioni di Berlusconi agli scandali che hanno colpito lui ed il suo entourage negli ultimi tempi sono quelle del capofamiglia che della sua famiglia difende anche le mele marce, e coloro che ritengono che Berlusconi si stia avviando al tramonto politico lo deducono dall'indebolimento dell''asabiyya nel PDL, non dal peggioramento della qualità delle sue idee.

"Per chi non conosce il concetto di 'asabiyya è fonte di stupore che il premier (Berlusconi) ed il ministro degli esteri (Frattini) di un governo che ha fatto dell'islamofobia e dell'anticomunismo uno dei suoi pilastri del suo potere si mostrino così pronti a schierarsi con la Libia (il cui capo, il colonnello Gheddafi, dichiara di richiamarsi al "socialismo islamico") nella lite che ha con la Svizzera, che ha incluso 186 libici nella lista delle persone a cui è vietato entrare nell'area Schengen.

In realtà, la Svizzera si ispira nella controversia a princìpi generali ed astratti, e Gheddhafi, che ha un figlio su cui pende un mandato d'arresto svizzero, alla più pura 'asabiyya che gli impone di difendere l'onore della famiglia ad ogni costo. E Berlusconi capisce meglio l''asabiyya dei princìpi, specialmente quando il capoclan ('asaba vuol dire letteralmente cintura, banda, masnada, clan patrilineare) ha le grinfie sui rubinetti del petrolio.

Invece gli uomini politici di sinistra, quando vengono colti con le mani nel sacco (purtroppo capita anche a loro), normalmente si dimettono per separare le loro vicende personali da quelle del partito e dell'idea che rappresenta. Mentre l''asabiyya impone di difendere i membri del clan ad ogni costo (perché è solo per l'appartenenza al clan che sono stati nominati), vivere seguendo dei princìpi (ed essere stati nominati per essersi impegnati a rispettarli) significa dimettersi quando di questi princìpi non ci si è dimostrati all'altezza.

Robert Putnam faceva notare che il PCI era più forte nelle regioni d'Italia dove fin dal Medioevo c'erano una società civile e politica forti che avevano indebolito le grandi famiglie aristocratiche ed avevano ottenuto la lealtà dei cittadini al loro posto. Non così era nel resto d'Italia, e specialmente nelle zone in cui vigeva il "familismo amorale" descritto da Edward Banfield.

E, se è vero che l'obbiettivo del PDL in queste elezioni regionali è quello di rinchiudere la sinistra nel ridotto costituito da Emilia, Toscana ed Umbria, ciò significa che lo stesso PDL si rende conto che non è possibile imporre a chi vuole un governo basato sulle "virtù civiche" un governo basato sull''asabiyya.

Scrivo questo per far notare che l'atteggiamento verso gli stranieri non è parte trascurabile del programma politico del PDL, e che le tirate antiimmigrati di Berlusconi non sono una concessione tattica alla Lega, ma il logico corollario di un modello di società in cui la mobilità sociale è una chimera, la corruzione è un problema solo se si viene scoperti, l'eguaglianza è un mito, la ricerca scientifica è uno spreco, l'arte è un modo di farsi pubblicità - e le donne sono solo come le vuole il maschio.

Se questa è la società che si vuole per i propri figli di sangue, figuriamoci quello che si vuole offrire ai figli adottivi. Il commento sulle "belle ragazze" albanesi non è una sventatezza, ma mostra quello che Berlusconi vuole che diventi la società italiana.

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