lunedì 20 dicembre 2010

Buddismo Soka Gakkai ed omosessualità


Attenzione! Sono state segnalate alcune inesattezze in questo post, che dovrà perciò essere radicalmente riveduto.


Ringrazio per il grande aiuto nel reperimento delle fonti e nella redazione dell'articolo il mio amico Mauro Mugliari di Bolzano.

Il buddismo non è una religione teista, in quanto non presume che esista un Essere supremo che abbia creato il mondo ed esiga dalle persone un comportamento conforme ad un testo da Lui rivelato.

Il buddismo si propone soprattutto come una filosofia che aiuti le persone a liberarsi dalla sofferenza subita ed inflitta, sofferenza che si perpetua oltre la morte in quanto le persone che non la superano si reincarnano; rispetto ad una semplice filosofia, però, il buddismo ha una tensione verso l'assoluto che permette di ritenerlo una religione.
Non intendo dare una sintesi della dottrina buddista - un'ottima e sintetica introduzione si può trovare qui:

Buddhismo / Damien Keown ; edizione italiana a cura di Mario Maglietti - Torino : Einaudi, 2010 - 147 p. : ill. ; 20 cm - Piccola biblioteca Einaudi. Nuova serie ; 496

E chi vuole approfondire la corrente buddista di cui sto parlando può leggere i testi pubblicati da Esperia Edizioni, la casa editrice dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai
; perciò voglio solo accennare ai punti più importanti per il nostro discorso
, dopo aver precisato che il buddismo ha una molteplicità di scuole, ma che ogni scuola mahayana ritiene se stessa e le altre degli “Upaya = mezzi adatti” per comunicare un insegnamento che le trascende (“Tathata = il vedere le cose come sono”) – la rivalità tra codeste scuole è perciò molto sportiva e non raggiunge gli eccessi delle lotte tra le varie versioni delle religioni abramitiche.

Il desiderio sessuale è uno dei tanti desideri che possono ostacolare l'uomo che cerchi di raggiungere la buddità, desideri che sono istigati dal "demone del sesto cielo", dal nome sanscrito di Mara = Morte, e per molti versi equivalente al Maligno evangelico.



Il principio a cui dovrebbero ispirarsi tutti i buddisti è che si deve essere gentili con gli altri quanto severi con se stessi - perché la gentilezza può conquistare i nemici esterni, ma i nemici interni possono essere domati solo dalla severità (una severità che non deve però degenerare in mortificazione, perché lo stesso Budda sperimentò che l'ascesi estrema non portava all'illuminazione).
Perciò la maggior parte delle correnti buddiste prescrive la continenza, e la regola monastica (Vinaya Pitaka = Canestro della Disciplina) esige la completa astinenza per i monaci - fanno però eccezione le scuole buddiste giapponesi.


Damien Keown, l'autore dell'introduzione citata, avverte che il buddismo giapponese è molto più attento alle esigenze della società di quello degli altri paesi; infatti la scuola Tendai (versione giapponese della scuola cinese "Tiantai = Terrazze celesti"), importata dal monaco Saicho (767-822), e da cui derivano le scuole buddiste giapponesi moderne, sostituì la citata regola del "Vinaya Pitaka" con la più breve e leggera regola del "Brahmajalasutra = Sutra della Rete di Brahma", che non impone il celibato.


Ciò aprì la strada a maestri come Shinran (1173-1263), il fondatore giapponese del "Jodo Shinshu = La vera scuola della Terra Pura", la più diffusa nel Giappone contemporaneo, che prescrisse anche ai monaci di sposarsi, e diede anche l'esempio, impalmando una monaca e facendo sei figli con lei!


La Soka Gakkai ha un altro fondatore, Nichiren Daishonin (1222-1282), che parte da questo presupposto: non sono negativi i desideri in sé, ma la brama di dominio che il più delle volte li accompagna.

Il "demone del sesto cielo" infatti adesca le sue vittime promettendo il potere, più che il piacere. Il piacere è lecito se non schiavizza chi lo cerca (e questo lo si evita mantenendo l'autoconsapevolezza), e se lo si cerca in modo altruistico - ovvero cercando di dar piacere agli altri e ricevendone solo per soprammercato.

Dei tanti esempi, quello che mi piace di più è quello dell'eleganza: se l'eleganza soddisfa solo la propria vanità, è considerata negativa; se manifesta invece rispetto per il prossimo (perché si cerca di mostrargli il proprio aspetto migliore), è positiva.

Nel buddismo Soka Gakkai si riconosce inoltre che i desideri sono un potente motore dell'evoluzione spirituale, se li si sa gestire; come disse il suo fondatore:
«Questo è l'insegnamento più importante. È l'insegnamento che 'i desideri terreni sono Illuminazione' [= Bonno soku bodai] e 'le sofferenze di vita e morte sono Nirvana' ... Le sofferenze diventano Nirvana quando si comprende che l'entità della vita umana non viene né generata né distrutta nel suo ciclo di nascita e di morte.»
La scuola Tiantai = Tendai ha una particolare venerazione per il Sutra del Loto, e la Soka Gakkai che ne discende pone il fulcro della sua pratica nella recitazione del mantra "Nam myoho renge kyo = Dedico la mia vita alla Legge Mistica del Sutra del Loto", e secondo Nichiren, pronunciare quella formula durante il rapporto sessuale ha il potere di trasformarlo in una preziosa esperienza spirituale.

Qualche lettore avrà notato che il buddismo di Nichiren somiglia al buddismo tantrico (Vajrayana), praticato soprattutto in Tibet (ma anche in Giappone, dalla scuola Shingon); più che somiglianza, si dovrebbe parlare d'influenza, in quanto questa forma di buddismo avrebbe dato il suo contributo alla scuola Tiantai = Tendai, e lo stesso Saicho, che portò questa scuola in Giappone, aveva studiato con impegno in Cina i testi tantrici.


Che io sappia, però, i discepoli di Nichiren (non è solo la Soka Gakkai a rivendicare la sua eredità spirituale) non hanno mai sviluppato il possente immaginario erotico del buddismo (e soprattutto dell'induismo) tantrico, immaginario da interpretarsi soprattutto in modo allegorico (per esempio, il fallo rappresenta gli “upaya = mezzi acconci” con cui il maestro introduce il “dharma = legge” nella mente del desideroso e consenziente discepolo - analogamente, ebrei e cristiani interpretano allegoricamente i versi espliciti del Cantico dei Cantici); le principali somiglianze stanno nel ritenere che i desideri possano essere d'aiuto e non di ostacolo nell'evoluzione spirituale, nella presenza di riti "esoterici" (cioè da rivelare solo agli allievi che il maestro ritiene maturi), e nella fede nel potere dei mantra, come appunto "Nam myoho renge kyo".


A questa formula vengono attribuite notevoli proprietà esemplificate da questo aneddoto che ho udito durante una riunione della Soka Gakkai: un uomo si era innamorato di una sua collega sposata. La donna ne era lusingata, ma non gli dava ovviamente alcuna speranza, ed il pover'uomo continuava a recitare il mantra nella speranza che colei che bramava gli dicesse di sì.

E' poco buddista cercare la propria felicità a spese di quella altrui, ma la situazione si risolse spontaneamente: l'uomo conobbe una collega libera di stato, e si sposarono felicemente. La morale che ne è stata tratta è che non sarebbe servito a nulla rimproverare l'uomo perché pregava con un'intenzione proibita - quel desiderio proibito dava invece alla preghiera tanta efficacia da fargli trovare una soluzione lecita e raccomandabile.

E' stato fatto anche notare però che l'evoluzione spirituale di una persona deve farle cambiare la natura di ciò che desidera: che un principiante preghi per un lavoro, un partner, od altre soddisfazioni personali è comprensibile; ma se passano gli anni e ciò che lui desidera non cambia, vuol dire che lui non si sta evolvendo.

Va precisato che, non postulando il buddismo l'esistenza di un essere supremo (anche se non mancano correnti buddiste che tendono a divinizzare Siddharta Gautama, detto "Buddha = l'Illuminato" o "Shakyamuni = Il saggio degli Shakya"), l'efficacia della preghiera va attribuita solo alla sua capacità di mobilitare le risorse interiori di chi le recita.


Infatti, per il Sutra del Loto e tutte le scuole che vi si ispirano (tra cui la Soka Gakkai) la buddità è un attributo dell'intero universo,
e nessun essere ne è privo; ognuno è perciò invitato a scoprirla in sé, e può riuscirci da solo nella sua vita presente - la principale differenza dalla citata "Jodo Shinshu" è che quest'ultima non solo usa un diverso mantra ("Namu Amida Butsu"), ma affida i suoi fedeli al Buddha Amitabha (in giapponese "Amida"), perché senza il suo aiuto non raggiungerebbero l'illuminazione.
Per completare il quadro generale della concezione della sessualità secondo il buddismo Soka Gakkai, va detto che esso prescrive che essa sia vissuta nel quadro di un rapporto di coppia, assolutamente alieno da ogni costrizione: nessuno deve essere costretto a fare alcunché.

Per quanto riguarda l'omosessualità, non viene trattata diversamente dall'eterosessualità, ed esistono anche in Italia i gruppi "Arcobalena", in cui si ritrovano i buddisti Soka Gakkai LGBT, ed anche i non buddisti sono bene accolti.
E' stato fatto notare che nei paesi a maggioranza buddista le leggi contro l'omosessualità sono state sempre frutto dell'influenza europea, non conseguenza della religione buddista, anche se non sono mancate puntate eterosessiste di alcuni esponenti.

Il più famoso è stato l'attuale Dalai Lama, il quale partendo dalla "naturalistica" constatazione che i genitali maschili e femminili sono fatti per completarsi e generare, condannò il sesso che non fosse la peniena [mi piacerebbe dire "penosa", ma non posso denigrare il mio sesso più di tanto] penetrazione vaginale - ma cercò poi di salvarsi in calcio d'angolo affermando che le relazioni omosessuali possono giovare a chi ne è membro ed alla società, senza però ritrattare la condanna del sesso non procreativo.

Come ho già scritto in altra occasione, il buddismo in Cina si è adeguato al dovere confuciano di riprodurre la specie e perpetuare la famiglia, per cui più che l'omosessualità, si consente la bisessualità, in quanto lascia aperta la possibilità di riprodursi.

Un esempio della dialettica tra buddismo e morale comune in Cina si trova nel romanzo erotico:

Il tappeto da preghiera di carne / Li Yu ; introduzione di Renata Pisu - 3. ed - Milano : Bompiani, 1994 - XXVII, 373 p. ; 19 cm. - I grandi tascabili ; 261

La morale comune cinese (d'impronta soprattutto confuciana, anche se Confucio avrebbe disapprovato le azioni del protagonista) fa del protagonista un giovanotto che cerca il successo a tutti i costi (rappresentato dal vincere i tremendi esami per diventare "mandarino") e mentre si prepara fa lo sciupafemmine (per giunta sposato!) che non manca di concedersi avventure gay.

Il "risveglio" gli farà però constatare i devastanti effetti delle sue intemperanze, e farà di lui un monaco, che emenderà il proprio karma a prezzo di una grande rinuncia - quella alla propria virilità.

Il monaco è, come da tradizione non giapponese, casto, ma nel romanzo le avventure gay non vengono riprovate di più delle infedeltà etero del protagonista, o di alcuni giochi erotici assolutamente privi di sentimento, comuni però nella tarda dinastia Ming.

In Giappone la situazione è piuttosto curiosa: nel 1676 il grande letterato Kitamura Kigin (1624-1705) provò a spiegare il buddismo giapponese a dei cristiani dicendo che Budda aveva sconsigliato ai suoi preti l'eterosessualità, consigliando invece l'omosessualità.
La Soka Gakkai non è maggioritaria in Giappone, ma il "Jodo Shinshu", la già citata corrente giapponese maggioritaria, non riconosce differenze sostanziali tra eterosessualità ed omosessualità, e celebra riti religiosi anche per coppie omosessuali.
Tra le fonti buddiste gay-friendly c'è il già citato "Brahmajalasutra = Sutra della Rete di Brahma", che contiene 58 precetti morali a cui deve attenersi il "Bodhisattva", cioè la persona che vuole non solo raggiungere la propria illuminazione, ma anche aiutare tutti gli "esseri senzienti" a raggiungerla; 10 sono i precetti maggiori, 48 i minori.


Il 40° precetto minore dice che non bisogna essere parziali o selettivi nel conferire i precetti, e per chiarire le cose, precisa che chiunque può riceverli: re, principi, funzionari, monaci, monache, laici, libertini, prostitute, asessuati, bisessuali, eunuchi, schiavi ...

Inoltre, il 3° precetto maggiore vieta la "condotta sessuale irresponsabile", ma con essa si intendono le molestie, lo stupro, e la mancanza di rispetto in genere - l'omosessualità non è considerata "condotta irresponsabile".

Per giunta, come già accennato, il Sutra del Loto afferma che ogni persona, "indipendentemente dalle condizioni personali e sociali" (per citare la Costituzione Italiana), ha in sé le qualità di un Budda, e perciò merita il massimo rispetto. Ai sensi di questo Sutra, le discriminazioni sono quindi vietate.

Penso di riassumere il tutto dicendo che il buddismo è meno eterosessista ed omofobo di altre religioni perché, non postulando un creatore del mondo, è meno esposto al cadere nella "fallacia naturalistica", che fa credere che, poiché peni e vagine si sono "coevoluti" per procreare insieme, tale coevoluzione ne detti l'unico uso lecito.

Purtroppo, quello che esce dalla porta può rientrare dalla finestra: non esiste un dio creatore nel buddismo, ma la sua dottrina (dharma) vuole presentarsi con l'oggettività di una legge naturale e cosmica - e può giustificare argomentazioni come quella del Dalai Lama.

Raffaele/Leporello

sabato 25 settembre 2010

Shabbes Gay

Shabbes Goy = Il gentile del Sabato è il non-ebreo che vuol essere utile ad una comunità ebraica, la quale lo ringrazia facendogli fare i lavori proibiti di sabato. Alcuni di loro hanno dato la vita per i loro amici ebrei.

Analogo è il mio rapporto con il mondo LGBT, e perciò mi dichiaro Shabbes Gay sebbene io sia Kinsey 1 (pressoché totalmente etero).

Che cosa fa della causa LGBT la mia? Intanto, l'eterosessismo colpisce non solo gli omosessuali, ma anche gli eterosessuali poco conformi alle sue norme, ed in modo molto insidioso.

E la mia esperienza personale mi ha insegnato che se io permetto a qualcuno di delegittimare i rapporti sessuali ed affettivi di gay e lesbiche, non potrò impedirgli di delegittimare i rapporti sessuali ed affettivi miei, anche se di un uomo con una donna.

Quindi ... difendendo gli LGBT difendo anche me stesso.

giovedì 12 agosto 2010

Donna non si nasce, si diventa

Sto leggendo questo libro:

Graglia, Margherita
Psicoterapia e omosessualità
Carocci Faber 2009

E' un libro lodevole che, tra l'altro, dedica alcune pagine anche alle disfunzioni sessuali di cui possono soffrire gay e lesbiche. In particolare, parla del fenomeno che in America era stato pittorescamente chiamato "lesbian bed death = la morte del letto lesbico".

Secondo l'autrice, è più un mito che un dato di fatto, gonfiato dal fatto che il metro di giudizio dei sessuologi di qualche anno fa era adatto più alla sessualità maschile (che si concentra sul numero degli orgasmi) che a quella femminile (in cui l'intimità ha ben maggior rilievo).

Gli studi più recenti, in cui non si contano solo gli orgasmi (che pure le lesbiche raggiungono più facilmente e più intensamente delle etero), ma si valuta anche la durata delle effusioni tra le partner, nonché l'appagamento che ne ricavano, mostrano che le lesbiche sono più soddisfatte delle etero.

Altra spiegazione (che non mi sento di condividere) data dall'autrice è che negli anni scorsi la tensione ideale e politica poteva avere un effetto sessualmente inibitorio sulle lesbiche più femministe. Sarà che sono un maschio, e nei maschietti c'è l'effetto "Duca di Wellington" (ovvero, la vittoria stimola il desiderio), ma non mi pare una spiegazione convincente.

Recensirò il libro prossimamente; ora vorrei fare un'amara considerazione. Se effusioni anche non sessualmente caratterizzate sono molto appaganti per le donne, come mai ho fatto fatica a trovare donne che le amassero (erano più pronte a venire a letto con me che a lasciarsi coccolare)?

Non era la mancanza di tempo - queste donne disprezzavano queste effusioni ed affibbiavano ai maschietti che le volevano l'epiteto poco lusinghiero di "teneroni". Probabilmente queste donne avevano deciso di essere le partner che gli uomini che ammiravano avrebbero voluto - e poiché il "vero uomo" non si perde in smancerie, nemmeno loro erano pronte ad apprezzarle.

Ma nel libro c'è un brano che mi ha colpito parecchio, alle pagine 120-121:

La maggiore risposta vasocongestizia nella pratica orale lesbica, riscontrata dai ricercatori rispetto a quella eterosessuale, è spiegata dal fatto che il cunnilingus è, per le coppie eterosessuali, un'esperienza preparatoria alla penetrazione, mentre per le lesbiche è un'esperienza orgasmica.

Ma davvero vale per tutte le coppie etero il primato della penetrazione? Non è che semplicemente il maschietto è per forza di cose più inesperto?

Il ritratto delle donne etero che qui emerge è quello di creature preoccupate di complementare la risposta sessuale del "vero maschio", così come se lo immaginano, o viene dato dai ruoli sessuali correnti. E sarebbe interessante chiedersi fino a che punto le lesbiche, che pure non hanno questa preoccupazione, si liberano da questa logica.

Ma anche in situazioni non collegate alla sfera sessuale si nota come per un uomo avere qualità non contemplate nel suo ruolo di genere sia controproducente.

In un paio di casi ho dimostrato un'empatia superiore a quella di decine di persone (non mi sto vantando, perché devo ammettere che la mia empatia media è pari alla mia magrezza ed alla mia statura), e le donne che hanno ricevuto quest'omaggio hanno chiuso la storia che avrei voluto che nascesse tra noi.

O l'empatia in un uomo è controproducente, o perlomeno non è di alcun aiuto. Poi le donne sono capaci di lamentarsi di quanto poco comprensivi sono i maschietti; ma "nemo contra factum proprium venire potest = nessuno può opporsi alle conseguenze delle proprie azioni".

giovedì 5 agosto 2010

Michael Lerner appoggia Vaughn Walker

 
[Nota di Fedra: non sono sicuro che la descrizione delle cause dell'omofobia maschile che dà Michael Lerner sia corretta - l'avere una laurea in psicologia non fa di me un esperto in materia. Consideratela un'ipotesi di lavoro.]
 
Gli ebrei americani sostengono fortemente i diritti GLBT - per molte buone ragioni.
Gli ebrei americani esultano per l'abrogazione del divieto di matrimonio gay
di Rav Michael Lerner, direttore di Tikkun Magazine
 
Gli omosessuali erano con noi ad Auschwitz e sono stati perseguitati insieme con gli ebrei in tutte le società occidentali per diverse migliaia di anni, perciò noi siamo con loro nella lotta per la piena accettazione e la piena eguaglianza giuridica, compresa l'eguaglianza nel matrimonio, nel 21mo secolo. Ma anche se non avessero condiviso il nostro destino, il diniego dei diritti ed i doppi standard usati per giustificare tali dinieghi sono sempre una minaccia per gli ebrei, così come per ogni persona sul pianeta!
 
I diritti degli omosessuali sono sostenuti da una schiacciante maggioranza della comunità ebraica americana. Questo sostegno non si basa soltanto sul ricordo dell'essere stati vittimizzati insieme, ma anche sui valori cruciali della nostra stessa tradizione ebraica. Il comando della Torà di "amare il nostro prossimo" e di "amare l'Altro (lo straniero, in ebraico: ger)" sono intrinseci al modo in cui la maggior parte degli ebrei americani comprende oggi i nostri doveri ebraici. L'edizione attuale (Luglio/Agosto) di Tikkun Magazine ha come tema principale "Spiritualità e politica Queer", con un possente saggio di Jay Michaelson sul "Perché i diritti dei gay sono un problema religioso", più altri saggi di Starhawk, Jay Bakker, Yvette A. Flunder, Emi Kyami, Joy Ladin, Parvez Sharma, Andrea Smith, Dean Space, Ruth Vanita ed altri scrittori e pensatori glbtq. A dire il vero, Tikkun è stato il primo luogo in cui fu pubblicato un saggio di un rabbino omosessuale che non aveva (ancora) fatto il coming-out, in cui egli discuteva la sua lotta, ed abbiamo severamente criticato quelle parti del mondo religioso ebraico che non santificano ancora i matrimoni gay. Come rabbino, ho avuto l'onore di celebrare tanti matrimoni siffatti nell'area della Baia di San Francisco, così come lo hanno fatto molti miei colleghi di tutto il paese del movimento del Rinnovamento Ebraico, del movimento Riformato e del movimento Ricostruzionista.
 
L'affermazione da parte di alcuni fondamentalisti che l'amore gay è vietato dalla Bibbia è già in sé un'interpretazione ed una lettura selettiva del testo biblico. Pochi di questi fondamentalisti chiedono che la loro società prenda alla lettera il comandamento di condonare tutti i debiti ogni sette anni (l'anno sabbatico), o di redistribuire la terra ogni cinquant'anni (il giubileo) o di non accendere il fuoco nella loro casa di Sabato, o, per restare in argomento, il comandamento di non distruggere gli alberi del tuo nemico quando fai la guerra, ma danno a questi comandamenti un'attenzione privilegiata.
 
Ed ai letteralisti dico di essere letterali; il comandamento dice: "Non giacerai con un uomo nel modo con cui giaci con una donna." Bene, ma questo non dice di non giacere con un uomo, bensì che lo si deve fare in modo diverso da come si giace con una donna. Il contrasto è chiaro nel Levitico, perché tutti gli altri comandamenti sul comportamento sessuale nella medesima sezione sono senza condizioni: "Non giacerai con x, y o z", ma solo qui il comandamento è vergato in questo modo per precisare come lo si deve applicare. Anche se quest'interpretazione non è l'unica possibile, essa mostra perché gli ebrei si sono impegnati a trasformare il significato dei testi biblici in accordo con l'evoluzione della nostra comprensione e della nostra sensibilità etica. Pertanto, ad esempio, i rabbini del Talmud, quando dovettero affrontare l'ingiunzione biblica di lapidare un figlio ribelle, erano tanto a disagio con la moralità di questo comandamento da proclamare, trasformando senza pudore il significato letterale del testo, che "un figlio ribelle non è mai esistito e non è mai stato creato", ovvero, che tutto quello che dice la Torà è magnifico, ma non va confuso con la nostra esperienza quotidiana con un bimbo ribelle. Il punto è che l'ebraismo ha sempre trovato il modo, attraverso la reinterpretazione creativa dei testi, di udire nuovamente la voce di Dio in ogni generazione, e di riconoscere questa nuova audizione come "la Torà orale data sul Monte Sinai e trasmessa di generazione in generazione." Ho espresso in dettaglio questa prospettiva nel mio bestseller nazionale del 1994 Jewish Renewal: A Path to Healing and Transformation [Rinnovamento ebraico: un sentiero verso la guarigione e la trasformazione] (Putnam hardback; HarperCollins, paperback 1995).
 
Allora, se non è dovuto alle limitazioni bibliche, a che cosa è dovuto? La paura o l'odio dei gay è un livello di comprensione, e certamente corretto. Eppure per molti omofobi maschi c'è un altro livello: il timore che gli omosessuali ricordino loro una parte di loro che fu repressa quando adottarono la loro identità maschile nei loro primi anni (dai 5 ai 15): la parte che amava e si identificava con la loro madre e pertanto con il desiderio di incarnare ed essere nutriti da questa parte orientata all'amore ed alla generosità che è stata stereotipicamente dichiarata "femminile". Poiché tale "elemento femminile" dovette essere respinto dai ragazzi per essere accettati come "veri uomini", c'era un'intensa necessità di reprimere quella parte di loro che si identificava con la loro madre e con l'elemento amorevole che ella rappresentava. Quanto più duro era rinunziarvi, tanto maggiore fu la repressione che i ragazzi hanno dovuto introiettare per stare dentro le identità maschili emergenti che erano offerte loro dagli altri bambini a scuola, e dai media e dall'ethos di una cultura patriarcale.
 
Questo non è la stessa cosa che dire, come spesso si afferma, che essi erano "in realtà" tutti omosessuali all'inizio. Non credo che ci sia un'identità sessuale così essenzialista. Semmai, sostengo che i ragazzi abbiano costruito la loro identità sessuale dovendo reprimere le loro parti più amorevoli, e quanto più vulnerabili sono al dolore dell'abbandono delle parti di sé e delle loro madri che realmente amavano, tanto più sono obbligati a diventare dei super-macho, di cui una dimensione è reprimere tutto quello che ricorda una parte di "femminuccia" (vi ricordate come il governatore Schwarzenegger ha accusato i democratici nel 2004 di essere delle "femminucce" ["girlie men"], e di come i democratici non ebbero il fegato di rispondere come dovevano, affermando che è un complimento essere paragonati ad una ragazza, e chi non lo capisce è un essere umano con dei grossi problemi [NdFedra: ho capito, quando divento cittadino americano rifondo il partito democratico!]). Dacché i maschi omosessuali sono ritenuti dagli omofobi femminei e deboli, quelli afflitti dal bisogno di reprimere questa parte della loro identità, che normalmente inizia in età assai giovanile, sono i più timorosi dell'omosessualità e quindi degli omosessuali.
 
Vi prego di notare che quest'analisi evita di mortificare gli omofobi - li vedo come vittime essi stessi della società patriarcale, persone che hanno bisogno di aiuto psicologico e spirituale, non persone da ridicolizzare, sebbene io e Tikkun siamo stati sempre impegnati a combattere le politiche che vorrebbero imporre al resto di noi. Uno deve essere compassionevole e capace di perdono con le persone con cui siamo in disaccordo sulle questioni etiche, ma saper perdonare non ci impone di smettere di lottare contro le politiche che le persone ferite hanno creato per dominare le nostre vite, e contro le loro credenze ed i loro comportamenti oppressivi.
 
La rivista Tikkun riconosce inoltre che la decisione di rovesciare il divieto di matrimonio gay è una vittoria per tutti noi che sosteniamo la separazione della religione e dello stato, dacché coloro che intendono imporre questa restrizione non fanno altro che tentare di imporre le loro particolari credenze religiose su tutta la società. Evitar ciò fu una delle principali ragioni del Primo Emendamento della Costituzione. Perciò applaudiamo la decisione del giudice Vaughn Walker e speriamo che venga confermata nella procedura d'appello attraverso le corti federali, anche se condividiamo la preoccupazione di molti che questa Corte Suprema, la più reazionaria degli ultimi 70 anni potrebbe finire con lo schierarsi dalla parte degli omofobi e degli odiatori.
 
Avete licenza di ristampare questo e spedirlo a chiunque conosciate. (...)

venerdì 30 luglio 2010

Nussbaum neged/versus Butler

(quote)
 
 
The Professor of Parody = La professoressa della parodia
di Martha Nussbaum
Post date 11.28.00 | Issue Date 02.22.99
Questo articolo è stato pubblicato sul sito web della rivista americana The New Republic Online http://www.tnr.com/

I.
Per molto tempo, il femminismo accademico in America è stato stretto alleato della lotta pratica per dare alle donne giustizia ed eguaglianza. La teoria femminista è stata compresa dai teorici non solo come belle parole sulla carta; la teoria è collegata alle proposte di cambiamento sociale. Pertanto le studiose femministe si sono impegnate in molti progetti concreti: la riforma delle leggi sullo stupro; ottenere attenzione e rimedi legali per i problemi della violenza domestica e delle molestie sessuali; migliorare le opportunità economiche, le condizioni di lavoro e l'istruzione delle donne; ottenere indennità di maternità per le donne che lavorano; condurre una campagna contro la tratta delle bianche; operare per l'eguaglianza sociale e politica delle lesbiche e dei gay.
 
Certo, alcune teoriche hanno addirittura lasciato l'accademia, sentendosi più a loro agio nel mondo della politica pratica, dove loro possono affrontare direttamente questi problemi urgenti. Quelle che restano nell'accademia hanno spesso spesso fatto una questione d'onore l'essere accademiche del tipo praticamente impegnato, con gli occhi sempre puntati alle condizioni materiali delle donne reali, scrivendo sempre in una maniera che riconosca quei corpi veri e quelle lotte vere. Per esempio, uno non può leggere una pagina di Catharine MacKinnon senza affrontare un autentico problema di cambiamento legale ed istituzionale. Se uno è in disaccordo con le sue proposte - e molte femministe lo sono - quello che scrive sfida comunque a trovare un'altra soluzione al problema che è stato vividamente delineato.
 
In alcuni casi le femministe hanno dissentito su ciò che è cattivo, e su ciò che serve per migliorare le cose; ma tutte concordano che le circostanze che incombono sulle donne sono spesso ingiuste e che la legge e l'azione politico possono renderle un po' più giuste. MacKinnon, che ritrae la gerarchia e la subordinazione come endemiche a tutta la nostra cultura, è anche impegnata, e cautamente ottimista, sul fronte del cambiamento attraverso la legge - le leggi nostrane sullo stupro e sulle molestie sessuali, e le leggi internazionali sui diritti umani.
 
Anche Nancy Chodorow, che in "The Reproduction of Mothering = La riproduzione delle cure materne" ha offerto un deprimente descrizione della replicazione delle categorie di genere oppressive nell'allevamento dei figli, ha affermato che questa situazione potrebbe cambiare. Gli uomini e le donne potrebbero decidere, comprendendo le infelici conseguenze di queste abitudini, che d'ora in avanti agiranno diversamente; e mutamenti nelle leggi e nelle istituzioni possono aiutare in questo.
 
La teoria femminista ha tuttora quest'aspetto in molte parti del mondo. Per esempio, in India le femministe accademiche si sono lanciate nelle lotte pratiche, e la teoresi femminista è strettamente legata agli impegni pratici come l'alfabetizzazione femminile, la riforma delle leggi fondiarie ineguali, cambiamenti nelle leggi sullo stupro (che, nell'India di oggi [1999, NdFedra], hanno la maggior parte delle pecche contro cui lottava la prima generazione di femministe americane), lo sforzo di ottenere un riconoscimento sociale per i problemi delle molestie sessuali e della violenza domestica. Queste femministe sanno di vivere in mezzo ad una realtà ferocemente ingiusta; loro non possono essere a loro agio con se stesse senza affrontarla quasi quotidianamente, nei loro scritti teorici e nelle loro attività fuori della stanza del seminario. Ma negli Stati Uniti, le cose sono cambiate. Uno osserva una tendenza nuova ed inquietante. Non è solo il fatto che la teoria femminista dà relativamente poca attenzione alle lotte delle donne fuori degli USA. (E questa è sempre stata una spiacevole caratteristica anche di buona parte del miglior lavoro del periodo precedente). E' qualcosa di più insidioso del provincialismo che è salito alla ribalta dell'accademia americana. E' il pressoché completo estraniarsi dal lato materiale della vita, verso un tipo di politica verbale e simbolica che ha solo un debolissimo collegamento con la vera situazione delle donne vere.
 
Le pensatrici femministe del nuovo tipo simbolico danno ad intendere che per fare politica femminista occorre usare le parole in modo sovversivo, in pubblicazioni accademiche di alta oscurità e sdegnosa astrazione. Questi gesti simbolici, si crede, sono essi stessi una forma di resistenza politica; e così uno non ha bisogno di sporcarsi le mani con cose come le legislature ed i movimenti sociali per agire in modo audace. Inoltre, il nuovo femminismo istruisce i suoi membri che c'è poco spazio per un cambiamento sociale su larga scala, e forse non ce n'è proprio. Noi tutti siamo, chi più chi meno, prigionieri delle strutture di potere che hanno definito la nostra identità di donne; non possiamo mai cambiare queste strutture su larga scala, e non possiamo mai sfuggir loro. Tutto quello che possiamo sperare di fare è trovare degli spazi all'interno delle strutture di potere che ci permettano di parodiarle, di prendercene gioco, di trasgredirle nel discorso. E così la politica simbolica verbale, oltre ad essere presentata come un tipo di politica reale, viene ritenuta l'unica politica davvero possibile.
 
Questi sviluppi debbono molto alla recente preminenza del pensiero postmodernista francese. Molte giovani femministe, qualunque sia la loro affiliazione concreta con questo o quel pensatore francese, sono state influenzate dall'idea estremamente francese che l'intellettuale fa politica parlando in modo sedizioso, e che questo è un tipo significativo di azione politica. Molti hanno anche derivato dagli scritti di Michel Foucault (a torto od a ragione) l'idea fatalistica che noi siamo prigionieri di una struttura di potere omniavvolgente, e che i movimenti di riforma della vita reale di solito finiscono con il servire il potere in modi nuovi ed insidiosi. Tali femministe perciò si consolano con l'idea che l'uso sovversivo delle parole è tuttora possibile alle intellettuali femministe. Private della speranza di cambiamenti più ampi e durevoli, noi possiamo ancora esercitare la nostra resistenza ricreando le categorie verbali, e così, ai margini, dei sé che esse costituiscono.
 
Una femminista americana ha foggiato questi sviluppi più di ogni altra. Judith Butler sembra a molti giovani studiosi colei che definisce il femminismo attuale. Con l'istruzione di una filosofa, ella è frequentemente sentita (più dai letterati che dai filosofi) come una grande pensatrice sul genere, il potere ed il corpo. Mentre ci chiediamo che ne è stato della politica femminista vecchio stile e delle realtà materiali alle quali si applicava, sembra necessario fare i conti con il lavoro e l'influenza della Butler, e vagliare gli argomenti che hanno condotto così tante persone ad adottare una posizione che somiglia tanto al quietismo ed alla ritirata.
 
II.
 
E' difficile essere alle prese con le idee della Butler, perché è difficile capire quali sono. La Butler è una persona molto intelligente. Nelle discussioni pubbliche dimostrad di saper parlare chiaramente ed afferrare rapidamente quello che le si dice. Ma il suo stile di scrittura è pesante ed oscuro. E' pieno di allusioni ad altri teorici, tratte da un'ampia gamma di diverse tradizioni teoriche. Oltre a Foucault, e ad un più recente fuoco su Freud, il lavoro della Butler si affida parecchio al pensiero di Louis Althusser, della teorica lesbica francese Monique Wittig, dell'antropologo americano Gayle Rubin, di Jacques Lacan, di J. L. Austin, e del filosofo americano del linguaggio Saul Kripke. Queste figure non sono affatto d'accordo tra loro - a dir poco; pertanto un problema iniziale nel leggere la Butler è che uno è stupito dal trovare i suoi argomenti sostenuti da un appello a così tanti concetti e dottrine contraddittori, normalmente senza alcuna spiegazione di come risolvere le contraddizioni apparenti.

Un ulteriore problema sta nel modo di alludere a casaccio della Butler. Le idee di questi pensatori non sono mai descritte con dettaglio sufficiente per i non addetti ai lavori (se non sei familiare col concetto althusseriano di "interpellazione", ti perdi per interi capitoli), o per spiegare agli iniziati come, precisamente, sono intese queste difficili idee. Certo, buona parte della letteratura accademica è in qualche modo allusiva: presume la conoscenza precedente di alcune dottrine e prese di posizione. Ma nelle tradizioni filosofiche tanto continentale che angloamericana, gli autori accademici che si rivolgono ad un pubblico di specialisti normalmente riconoscono che le figure che menzionano sono complesse, ed oggetto di molte diverse interpretazioni. Loro pertanto tipicamente si assumono la responsabilità di proporre una definita interpretazione tra quelle contestate, e di argomentare il perché hanno interpretato a loro modo le figure, e perché la loro interpretazione è migliore delle altre.
 
Nella Butler, non troviamo niente del genere. Semplicemente, non si prendono in considerazione le interpretazioni divergenti - nemmeno quando, come nei casi di Foucault e Freud, sta proponendo interpretazioni molto discutibili che molti studiosi non accetterebbero. Per tanto uno trae la conclusione che l'allusività del suo modo di scrivere non può essere spiegata nel modo solito, presupponendo un pubblico di specialisti ansioso di dibattere i dettagli di una posizione accademica esoterica. Il suo modo di scrivere semplicemente non ha abbastanza spessore per soddisfare un simile pubblico. Ed è anche ovvio che il lavoro della Butler non è diretto ad un pubblico non accademici ansioso di affrontare le ingiustizie effettive. Un simile pubblico sarebbe semplicemente sconcertato dalla densa zuppa della prosa della Butler, dalla sua aria di conoscenza iniziatica, dal suo incredibile rapporto tra nomi e spiegazioni.
 
Ma allora, a chi sta parlando la Butler? Sembrerebbe che si stia rivolgendo ad un gruppo di giovani teoriche femministe nell'accademia, che non sono né studentesse di filosofia, preoccupate di quello che davvero hanno detto Althusser, Freud e Kripke, né delle estranee all'accademia, che hanno bisogno di essere informate della natura dei loro progetti e persuase del loro valore. Questo pubblico implicito viene immaginato come particolarmente docile. Soggiogato dalla voce oracolare del testo della Butler, ed abbagliato dalla sua patina di alta astrazione concettuale, il lettore implicito fa poche domande, non chiede argomentazioni e chiare definizioni dei termini.
 
Ancora più stranamente, ci si aspetta che il lettore implicito non si preoccupi granché del verdetto finale della Butler su molte questioni. Una grande proporzione delle frasi in un qualsiasi libro della Butler - specialmente quelle verso la fine dei capitoli - sono domande. Talvolta non è evidente la risposta che la domanda si aspetta. Ma spesso le cose sono ancora più indefinite. Tra le frasi non interrogative, molte iniziano con un "Considerate ..." oppure "Uno potrebbe suggerire ...", in modo tale che la Butler praticamente mai dice al lettore se approva l'opinione descritta. La mistificazione, così come la gerarchia sono gli strumenti della sua pratica, una mistificazione che elude la critica perché fa ben poche affermazioni definitive.
 
Prendiamo due esempi significativi:
 
"Che significa per la capacità di agire di un soggetto presupporre la sua propria subordinazione? L'atto di presupporre è lo stesso atto di ristabilire, o c'è una discontinuità tra il potere presupposto ed il potere ristabilito? Considerate che proprio nell'atto con cui il soggetto riproduce le condizioni della sua propria subordinazione, il soggetto esemplifica una vulnerabilità basata sul tempo che appartiene a queste condizioni, in special modo alle esigenze del loro rinnovo."
 
E:
 
"Non si può rispondere qui a queste domande, ma esse indicano una direzione del pensiero che forse precede la questione della coscienza, ovvero, la questione che ha preoccupato Spinoza, Nietzsche, e più di recente, Giorgio Agamben: 'Come possiamo capire il desiderio di essere come un desiderio costitutivo?' Resituando la coscienza e l'interpellazione in questa descrizione, noi potremmo allora aggiungere a questa domanda un'altra: 'Com'è sfruttato questo desiderio non solo da una singola legge, ma da leggi di diverso tipo tali da farci cedere alla subordinazione per farci mantenere un certo senso di 'essere' socialmente?"
 
Ma perché la Butler preferisce scrivere in questo modo stuzzicante ed esasperante? Questo stile non manca certo di precedenti. Alcuni distretti della tradizione filosofica continentale, anche se certo non tutti, hanno la sventurata tendenza a trattare il filosofo come una stella che affascina, e spesso con la sua oscurità, anziché come un argomentatore tra uguali. Quando le idee sono chiaramente espresse, in fin dei conti, esse possono essere separate dal loro autore: uno può portarle via e svilupparle in proprio. Quando rimangono misteriose (anzi, quando non sono quasi espresse), uno rimane dipendente dall'autorità che le origina. Al pensatore si dà retta solo per il turgido carisma che ha lui o lei. Uno rimane in sospeso, in attesa della mossa successiva. Quando la Butler segue questa "direzione del pensiero", che dirà? Che significa, ci dica lei per favore, per la capacità di agire di un soggetto presupporre la propria subordinazione? (A quanto riesco a vedere, non arriva nessuna chiara risposta a questa domanda.) Uno ha l'impressione di una mente tanto profondamente cogitante che non si pronuncerà su nulla a cuor leggero: ed allora uno aspetta, timoroso della sua profondità, che essa finalmente lo faccia.
 
In questo modo l'oscurità crea un'aura di importanza. Serve anche ad un altro scopo collegato. Costringe il lettore a concedere che, dacché uno proprio non riesce a capire quello che sta accadendo, deve accadere qualcosa di importante, qualche complessità di pensiero, dove in realtà ci sono spesso nozioni familiari o addirittura trite, affrontate in modo troppo semplicistico e troppo trascurato per aggiungere nuove dimensioni di comprensione. Quando i costretti lettori dei libri della Butler raccolgono il coraggio di pensarlo, vedono che le idee in questi libri sono sottili. Quando le nozioni della Butler sono espresse in modo chiaro e succinto, uno vede che, senza tante più distinzioni ed argomentazioni, non vanno lontano e non sono particolarmente nuove. Così l'oscurità riempie il vuoto lasciato dall'assenza di un'autentica complessità di pensiero ed argomentazione.
 
L'anno scorso [1998? NdFedra] la Butler ha vinto il primo premio nell'attuale Gara di Malo Scrivere sponsorizzata dalla rivista accademica "Philosophy and Literature" per questo brano:
 
"La transizione da una descrizione strutturalista in cui si comprende che il capitale struttura le relazioni sociali in modi relativamente omologhi ad una visione dell'egemonia in cui le relazioni di potere sono soggette alla ripetizione, alla convergenza, ed alla riarticolazione ha portato la questione della temporalità nel pensare la struttura, e marcato uno slittamento da una forma di teoria althusseriana che prende le totalità strutturali come oggetti teorici ad una in cui le intuizioni sulla possibilità contingente di una struttura inaugura una rinnovata concezione dell'egemonia come legata ai siti ed alle strategie contingenti di riarticolazione del potere."
 
Ora, la Butler avrebbe potuto scrivere: "Le descrizioni marxiste, che si concentrano sul capitale come la forza centrale che struttura le relazioni sociali, hanno descritto le operazioni di quella forza come ovunque uniformi. Di contro, le descrizioni althusseriane, che si concentrano sul potere, vedono le operazioni di questa forza tanto variegate quanto mutevoli nel tempo." Invece, lei preferisce una verbosità che impone al lettore di spendere tanti sforzi per decifrare la sua prosa che poca energia rimane per valutare la verità delle sue asserzioni. Annunciando il premio, il direttore della rivista ha commentato che "forse è l'oscurità ansiogena di tal modo di scrivere che ha indotto il Prof. Warren Hedges dell'Università dell'Oregon Meridionale a lodare Judith Butler come 'forse una delle dieci persone più intelligenti del pianeta'." (Tra parentesi, questo malo scrivere non è affatto universale nel gruppo dei teorici della "teoria queer" a cui è unita la Butler. Per esempio, David Halperin scrive sulla relazione tra Foucault e Kant, e sull'omosessualità greca con chiarezza filosofica e precisione storica.)
 
La Butler si guadagna prestigio nel mondo letterario facendo la filosofa; molti ammiratori associano il suo modo di scrivere alla profondità filosofica. Ma uno dovrebbe chiedersi se appartiene davvero alla tradizione filosofica, piuttosto che alle tradizioni strettamente imparentate, ma avverse, della sofistica e della retorica. Sin da quando Socrate ha distinto la filosofia da ciò che i sofisti ed i retori stavano facendo, essa è stata un discorso tra eguali che si scambiano argomentazioni e controargomentazioni senza barare in modo oscurantista. In quel modo, egli affermava, la filosofia mostrava rispetto per l'anima, mentre i metodi manipolatori degli altri mostavano soltanto mancanza di rispetto. Un pomeriggio, spossata dalla Butler in un lungo volo, mi sono messa a leggere la bozza della dissertazione di uno studente sulle opinioni di Hume sull'identità personale. Mi sono sentita rianimare. "Lei non scrive in modo chiaro," ho pensato con piacere ed anche un pizzico di orgoglio. Ma Hume, che spirito fine, che spirito grazioso: con che garbo rispetta l'intelligenza del lettore, anche a costo di mettere a nudo le sue stesse incertezze. 
 
III.
L'idea principale della Butler, presentata per la prima volta in "Gender Trouble = Scambi di genere" nel 1989 e ripetuta in tutti i suoi libri, è che il genere è un artefatto sociale. Le nostre idee su quello che sono le donne e gli uomini non riflettono nulla che esista esternamente nella natura. Invece derivano da costumi che incorporano le relazioni sociali di potere.
 
Ovviamente, questa nozione non è affatto nuova. La denaturalizzazione del genere si trovava già in Platone, ed ha avuto una grande spinta da John Stuart Mill, che asserì in "La soggezione delle donne" che "quello che ora si chiama la natura delle donne è una cosa eminentemente artificiale". Mill vide che le affermazioni sulla "natura delle donne" derivano da gerarchie di potere e le sostengono: la femminilità è fatta corrispondere a qualsiasi cosa potrebbe servire la causa di tenere le donne assoggettate o, per dirla con lui, "schiavizza[re] le loro menti". Come con la famiglia così con il feudalesimo, la stessa retorica della natura serve la causa della schiavitù. "Poiché la soggezione delle donne agli uomini appare un costume universale, ogni suo abbandono appare abbastanza naturalmente come innaturale ... ma c'è mai stata una dominazione che non sia apparsa naturale a chi la deteneva?"
 
Mill non è stato proprio il primo costruzionista sociale. Simili idee sull'ira, la gola, l'invidia, ed altre prominenti caratteristiche delle nostre vite sono state comuni nella storia della filosofia sin dalla Grecia antica. E l'applicazione di Mill di nozioni familiari di costruzione sociale al genere aveva bisogno, ed ha ancora bisogno, di un ben più ampio sviluppo; i suoi commenti suggestivi non costituivano ancora una teoria del genere. Ben prima che la Butler sia apparsa in scena, molte femministe hanno contribuito ad una simile descrizione.
 
In opere pubblicate negli anni '70 ed '80, Catharine MacKinnon ed Andrea Dworkin hanno affermato che la convenzionale comprensione dei ruoli di genere è un modo di assicurare la continuazione del dominio maschile nelle relazioni sessuali, così come nella sfera pubblica. Loro hanno portato il nocciolo dell'intuizione di Mill in una sfera della vita di cui il filosofo vittoriano ha detto poco. (Ma comunque qualcosa: nel 1869 Mill aveva già capito che il non punire lo stupro all'interno del matrimonio definiva la donna come uno strumento al servizio maschile e denegava la sua dignità umana). Già prima della Butler, MacKinnon e Dworkin hanno attaccato la fantasia femminista di una sessualità naturale idilliaca delle donne che aveva solo bisogno di essere "liberata"; e sostenevano che le forze sociali vanno così in profondità che non dobbiamo credere di riuscire ad accedre ad una siffatta nozione di "natura". Prima della Butler, esse rimarcavano i modi in cui le strutture di potere dominate dai maschi marginalizzano e subordinano non solo le donne, ma anche le persone che vorrebbero scegliere una relazione omosessuale. Esse compresero che la discriminazione contro i gay e le lesbiche è un modo di far rispttare i ruoli di genere a noi familiari e gerarchicamente ordinati; e così videro la discriminazione contro i gay e le lesbiche come una forma di discriminazione sessuale.
 
Prima della Butler, la psicologa Nancy Chodorow ci ha dato un descrizione dettagliata ed avvincente di come le differenze di genere si riproducono di generazione in generazione: essa ha affermato che l'ubiquità di questi meccanismi di replicazione ci permette di capire come quello che è artificiale può nondimeno essere quasi ubiquo. Prima della Butler, la biologa Anne Fausto Sterling, attraverso la sua puntigliosa critica dei lavori sperimentali di cui si afferma che sostengano la naturalezza delle distinzioni convenzionali di genere, ha mostrato quanto profondamente le relazioni sociali di potere abbiano compromesso l'obbiettività degli scienziati. "Myths of Gender = Miti di genere" (1985) era il titolo giusto per quello che aveva trovato nella biologia del tempo. (Anche altri biologi e primatologi hanno contribuito all'impresa.) Prima della Butler, la teorica della politica Susan Moller Okin ha esplorato il ruolo del diritto e del pensiero politico nel costruire un destino di genere per le donne nella famiglia; ed anche questo progetto è stato portato avanti da diverse femministe nel diritto e nella filosofia politica. Prima della Butler, l'importante descrizione antropologica della subordinazione, "The Traffic in Women = Il traffico delle donne" (1975), forniva una valida analisi della relazione tra l'organizzazione sociale del genere e le asimmetrie del potere.
 
Allora, che aggiunge l'opera della Butler a questo copioso corpus di scritti? "Scambi di genere" e "Bodies that matter = Corpi che contano" non contengono alcun argomento dettagliato contro le affermazioni biologistiche di una differenza "naturale", nessuna descrizione dei meccanismi di replicazione del genere, e nessuna descrizione del modo in cui il diritto foggia la famiglia; e non si concentrano affatto bene sulle possibilità di cambiamento giuridico. Che ci offre allora la Butler che non possiamo trovare fatto meglio negli scritti femministi precedenti? Un'affermazione relativamente originale è che quando noi riconosciamo l'artificialità delle distinzioni di genere, e ci asteniamo dal pensarle l'espressione di una realtà naturale indipendente, noi capiremo anche che non c'è alcuna ragione irresistibile perché i tipi di genere debbano essere proprio due (in correlazione con i due sessi biologici), piuttosto che tre o cinque, o potenzialmente infiniti. "Quando lo status del genere è teorizzato come radicalmente indipendente dal sesso, lo stesso genere diventa un artefatto non vincolato", lei scrive.
 
Da quest'affermazione non deriva, secondo la Butler, che noi possiamo reinventare liberamente i generi come ci piace: le infatti sostiene che ci sono degli stretti limiti alla nostra libertà. Ella insiste che non dobbiamo ingenuamente immaginare che ci sia un sé primordiale che stia dietro la società, pronto ad emergere completamente puro e libero: "Non c'è un sé che preceda la convergenza, o che mantenga la sua 'integrità' prima del suo ingresso in questo campo culturale conflittuale. C'è solo un prendere in mano gli strumenti dove si trovano, in cui proprio il 'prendere in mano' è consentito dallo strumento che lì giace." Ma la Butler sostiene che noi possiamo creare delle categorie che sono in un certo senso nuove, mediante l'abile parodia delle vecchie. Pertanto, la sua idea meglio nota, la sua concezione della politica come esecuzione di una parodia, è generata dal senso di una libertà (strettamente limitata) che nasce dal riconoscimento che le idee di genere di una persona sono state foggiate da forze che sono sociali piuttosto che biologiche. Noi siamo condannati alla ripetizione delle strutture di potere in cui siamo nati, ma possiamo almeno prendercene gioco; ed alcuni modi di prendercene gioco sono attacchi sovversivi alle norme originali.
 
L'idea del genere come 'performance' è l'idea più famosa della Butler, e pertanto vale la pena fermarsi per esaminarla più da vicino. Lei ha introdotto la nozione in modo intuitivo, in "Scambi di genere", senza invocare precedenti teorici. Più tardi ha negato di essersi rifrita ad una 'performance' quasi teatrale, ed ha associato invece la sua nozione con la descrizione che Austin fa degli atti discorsivi in "Come fare cose con le parole". La categoria linguistica di Austin dei "performativi" è una categoria di espressioni linguistiche che funzionano di per sé come azioni anziché asserzioni. Quando (nelle giuste circostanze sociali) io dico: "Scommetto dieci dollari", "Mi scuso", "Lo voglio" (quando mi sposo), oppure "Battezzo questa nave ...", io non sto parlando di una scommessa, di una scusa, di un matrimonio, o del battesimo di una nave - sto facendo una di queste cose.
 
L'analoga affermazione della Butler sul genere non è ovvia, dacché le "performances" in questione implicano gesti, abiti, movimenti, ed azioni, oltre al linguaggio. La tesi di Austin, che vale solo all'interno di un'analisi alquanto tecnica di una certa categoria di frasi, non è infatti di grande aiuto alla Butler nello sviluppo delle sue idee. Infatti, sebbene ella rifiuti con veemenza le interpretazioni della sua opera che associano la sua opinione con il teatro, pensare al lavoro sovversivo dei generi compiuto dal Living Theater sembra illuminare le sue idee ben più che pensare ad Austin.
 
[Ho già scritto che secondo me il paragone più opportuno è tra le "performances" di genere della Butler e gli atti di culto, che in inglese si chiamano "divine services" - NdFedra]
 
Né è molto plausibile il trattamento che la Butler riserva ad Austin. Lei fa la bizzarra affermazione che il fatto che la cerimonia nuziale sia una delle dozzine di esempi di performativi nel testo di Austin suggerisce "che l'eterosessualizzazione del legame sociale è la forma paradigmatica per questi atti discorsivi che producono quello che nominano." Non proprio. Per Austin il matrimonio non è più paradigmatico della scommessa, del battesimo di una nave, della promessa o delle scuse. A lui interessa una caratteristica formale di alcune espressioni, e non c'è motivo di supporre che il loro contenuto abbia alcun significato per il suo argomentare. Di solito è un errore scovare un senso da scuotere il mondo nella banale scelta degli esempi che fa un filosofo. Dobbiamo dire che l'uso che fa Aristotele di una dieta a basso contenuto di grassi per illustrare il sillogismo pratico suggerisce che il pollo è al cuore della virtù aristotelica? O che l'uso che Rawls fa dei piani di viaggio per illustrare il ragionamento pratico mostra che "Una teoria della giustizia" intende dare a tutti noi una vacanza?
 
Mettendo da parte queste stranezze, il punto della Butler è presumibilmente questo: quando noi agiamo e parliamo in un modo diviso in generi, non stiamo semplicemente riferendo qualcosa che è già dato nel mondo, lo stiamo attivamente creando, replicando e rinforzanzo. Comportandoci come se ci fossero "nature" maschili e femminili, noi co-creiamo la finzione sociale che queste nature esistono. Non ci sono mai indipendentemente dalle nostre azioni; siamo sempre noi che le facciamo essere qui. Allo stesso modo, eseguendo queste performances in un modo lievemente diverso, in un modo parodistico, noi possiamo forse disfarle un pochino.
 
Pertanto l'unico posto per la nostra capacità di agire in un mondo costretto dalla gerarchia è nelle piccole opportunità che abbiamo di opporci ai ruoli di genere ogni volta che essi prendono forma. Quando mi vedo creare la femminilità, io posso rivoltarla, prendermene gioco, crearla un po' diversamente. Secondo la Butler, queste performances reattive e parodistiche, non destabilizzano mai il grande sistema. Lei non immagina dei movimenti di resistenza di massa, o campagne di riforma politica; soltanto atti personali portati avanti da un piccolo gruppo di attori perspicaci. Proprio come degli attori con un cattivo copione possono sovvertirlo rendendo in modo strano le righe scritte male, così accade con il genere: il copione è sempre scritto male, ma gli attori hanno un minimo di libertà. Così abbiamo la base per quello che, in "Excitable Speech = Discorso eccitabile", Butler chiama "una speranza ironica".
 
Fin qui, le asserzioni della Butler, per quanto relativamente familiari, sono plausibili e pure interessanti, sebbene uno sia già turbato dalla sua ristretta visione delle possibilità di cambiamento. Eppure la Butler aggiunge a queste affermazioni plausibili sul genere altre due che sono più forti e controverse. La prima è che non c'è agente dietro o prima le forze sociali che producono il sé. Se questo significa solo che i bimbi nascono in un mondo diviso in generi che inizia praticamente subito a creare maschi e femmine, l'affermazione è plausibile, ma non sorprendente: degli esperimenti hanno dimostrato per qualche tempo che il modo in cui i bimbi sono tenuti in braccio e gli si parla, il modo in cui le loro emozioni vengono descritti, sono profondamente foggiati dal sesso che gli adulti in questione credono che abbia il bimbo. (Lo stesso bambino verrà lanciato in aria se loro credono che sia un maschio, coccolato se credono che sia una femmina; il suo pianto verrà etichettato come di paura se gli adulti pensano che sia una femmina, come di rabbia se pensano che sia un maschio.) La Butler non ha interesse in questi fatti empirici, ma sostengono la sua asserzione.
 
Ma se lei invece intende che i bimbi entrano nel mondo completamente inerti, senza tendenze e senza abilità che siano in qualche modo precedenti alla loro esperienza in una società divisa in generi, questo è assai meno plausibile e difficile da sostenere empiricamente. La Butler non offre alcun sostegno siffatto, preferendo rimanere nel piano alto dell'astrazione metafisica. (Infatti, la sua recente opera freudiana potrebbe pure ripudiare quest'idea: esso suggerisce, con Freud, che ci sono almeno alcuni impulsi e tendenze presociali, anche se, tipicamente, questa linea di pensiero non è chiaramente sviluppata.) Inoltre, un simile diniego esagerato di una capacità di agire pre-culturale si porta via alcune delle risorse che Chodorow ed altri usano quando cercano di spiegare il cambiamento culturale in senso migliorativo.
 
La Butler alla fine vuol dire che noi abbiamo una certa capacità di agire, un'abilità di intraprendere il cambiamento e la resistenza. Ma da dove viene quest'abilità, se non c'è struttura nella personalità che non sia completamente creata dal potere? Non è impossibile per la Butler rispondere a questa domanda, ma di certo non le ha ancora risposto, in un modo che possa convincere coloro che ritengono che gli esseri umani hanno almeno alcuni desideri preculturali - di cibo, di conforto, di padronanza cognitiva, di sopravvivenza - e che questa struttura della personalità sia cruciale per spiegare il nostro sviluppo come agenti morali e politici. Uno vorrebbe vederla alle prese con le forme più forti di questa visione e dire esattamente, chiaramente e non in gergo, perché ed in che cosa lei le respinge. Uno vorrebbe anche sentirla parlare di infanti veri, che sembrano manifestare una struttura dello sforzo che influenza fin dall'inizio la loro recezione delle forme culturali.
 
La seconda forte affermazione della Butler è che anche il corpo stesso, e specialmente la distinzione tra i due sessi, è una costruzione sociale. Ella intende non solo che il corpo è foggiato in molti modi dalle norme sociali su come gli uomini e le donne dovrebbero essere; ella afferma inoltre che il fatto che una divisione binaria dei sessi sia presa per fondamentale, come una chiave dell'ordinamento sociale, è essa stessa un'idea sociale che non è data nella realtà corporea. Che significa esattamente quest'affermazione, e quanto è plausibile?
 
La breve spiegazione della Butler del lavoro di Foucault sugli ermafroditi ci mostra l'ansiosa insistenza della società di classificare ogni essere umano in una scatola o nell'altra, che l'individuo entri o meno in una scatola; però ovviamente non ci mostra che ci sono tanti casi indeterminati siffatti. Lei ha ragione ad insistere che noi potremmo aver fatto molte diverse classificazioni di tipi corporei, non necessariamente concentrate sulla divisione binaria come la più rilevante; ed ha anche ragione ad insistere che, in grande misura, le affermazioni di di differenze sessuali corporee che si dichiarano basate sulla ricerca scientifica sono state proiezioni di un pregiudizio culturale - anche se la Butler qui non ci offre nulla di altrettanto convincente della scrupolosa analisi biologica di Fausto Sterling.
 
Eppure è fin troppo semplice che il potere è tutto quello che è il corpo. Noi potremmo aver avuto i corpi degli uccelli o dei dinosauri o dei leoni, ma non è così; e questa realtà foggia le nostre scelte. La cultura può formare e riformare alcuni aspetti della nostra esistenza corporea, ma non ne forma tutti i suoi aspetti. "Nell'uomo oppresso dalla fame e dalla sete," osservava tanto tempo fa Sesto Empirico, "è impossibile convincerlo con il ragionamento che non ha quest'oppressione." Questo è un fatto importante anche per il femminismo, dacché le esigenze nutritive delle donne (e le loro speciali necessità quando sono gravide od allattano) sono un importante argomento femminista. Anche dove si parla della differenza sessuale, è certo troppo semplice scartarla come cultura, né le femministe dovrebbero essere ansiose di fare un gesto tanto radicale. Le donne che corrono o giocano a pallacanestro, per esempio, avevano ragione a dare il benvenuto alla demolizione dei miti sulle prestazioni atletiche femminili che erano il prodotto di presupposti maschilisti; ma loro avevano anche ragione a chiedere la ricerca specializzata sui corpi delle donne che ha prodotto una miglior comprensione delle necessità di allenamento delle donne e delle lesioni che subiscono le donne. In breve: ciò di cui ha bisogno il femminismo, e talvolta ottiene, è uno studio sottile dell'interazione tra differenze corporee e costruzioni culturali. Ed i pronunciamenti astratti della Butler, che galleggiano ben più in alto della materia, non ci danno nulla di ciò che ci serve.
 
IV.
Supponiamo di accettare la più interessante delle affermazioni della Butler fino a questo punto: che la struttura sociale del genere è ubiqua, ma noi possiamo resisterle con atti sovversivi e parodistici. Rimangono due significative questioni:  a che cosa dobbiamo resistere, e su che base? Come sarebbero gli atti di resistenza, e che cosa dobbiamo aspettarci che raggiungano?
 
La Butler usa diverse parole per quello che lei ritiene cattivo e che perciò meriti la resistenza: il "repressivo", il "subordinante", l'"oppressivo". Ma ella non dà alcuna discussione empirica della resistenza del tipo che noi troviamo, per esempio, nell'affascinante studio sociologico di Barry  Adam "The Survival of Domination = La sopravvivenza del dominio" (1978), che studia la subordinazione dei neri, degli ebrei, delle donne, dei gay e delle lesbiche, ed i loro modi di lottare con le forme di potere sociale che li hanno oppressi. Né la Butler offre alcuna descrizione dei concetti di resistenza ed oppressione che ci possa aiutare, se noi fossimo davvero nel dubbio su che cosa merita la nostra resistenza.
 
Da questo punto di vista, la Butler si separa dalle precedenti femministe fautrici del costruzionismo sociale, che hanno usato tutte quante idee come non-gerarchia, eguaglianza, dignità, autonomia, e trattare le persone come fini piuttosto che come mezzi, per indicare la direzione per la politica effettiva. Lei è assai meno disposta ad elaborare qualsiasi nozione normativa positiva. Infatti, è chiaro che la Butler, come Foucault, si oppone irremovibilmente a nozioni normative come la dignità umana, o trattarre l'umanità come un fine, per la ragione che esse sono intrinsecamente dittatoriali. Nella sua opinione, noi dobbiamo attendere ciò che ci fornisce la stessa lotta politica, piuttosto che prescriverlo inizialmente a chi vi prende parte. Le nozioni normative universali, ella dice, "colonizzano sotto il segno del medesimo".
 
Quest'idea di aspettare e vedere quello che abbiamo - in una parola, questa passività morale - sembra plausibile nella Butler perché lei tacitamente presume un pubblico di lettori con idee simili alle sue che concordano (o quasi) su quelle che sono le cose cattive - la discriminazione contro i gay e le lesbiche, il trattamento diseguale e gerarchico delle donne - e che concordano pure (o quasi) sul perché sono cattive (subordinano alcune persone ad altre, negano alle persone delle libertà che devono avere). Ma se elimini questo presupposto, e l'assenza di una dimensione normativa diventa un grave problema.
 
Prova ad insegnare Foucault ad una facoltà di legge del giorno d'oggi, come ho fatto io, e scopri subito che la sovversione prende molte forme, non tutte congeniali alla Butler ed ai suoi alleati. Come mi ha detto un sagace studente libertario, "Perché non posso usare queste idee per resistere al sistema fiscale, od alle leggi antidiscriminatorie, o perfino per unirmi alle milizie?" Altri, che amano di meno la libertà, potrebbero impegnarsi nelle performances sovversive di prendersi gioco dei commenti femministi in classe, oppure di strappare i poster delle associazioni degli studenti di legge lesbici e gay. Capitano questa cose. Sono parodistiche e sovversive. Perchè, allora, queste non sono coraggiose e buone?
 
Beh, ci sono delle buone risposte a queste domande, ma non le trovi in Foucault o nella Butler. Risponder loro richiede di discutere su quali libertà ed opportunità gli esseri umani debbono avere, e che significa per le istituzioni sociali trattare gli esseri umani come fini anziché come mezzi - insomma, una teoria normativa della giustizia sociale e della dignità umana. Una cosa è dire che dovremmo portare le nostre norme universali con umiltà, ed essere disposti ad imparare dall'esperienza delle persone oppresse. Ben altra cosa è dire che non abbiamo bisogno di alcuna norma. Foucault, al contrario della Butler, perlomeno mostrava dei segni nella sua ultima opera di voler affrontare questo problema; e tutti i suoi scritti sono animanti da un forte senso della tessitura dell'oppressione sociale e del male che fa.
 
Se ci pensate, la giustizia, intesa come virtù personale, ha proprio la stessa struttura del genere nell'analisi butleriana: non è né innata né "naturale", è prodotta da ripetute performances (o, per dirla con Aristotele, la impariamo praticandola), foggia le nostre inclinazioni e forza la repressione di alcune di esse. Queste performances rituali, e le loro repressioni associate, sono fatte rispettare da intese di potere sociale, come rapidamente scoprono i bimbi che non condividono sul parco giochi. Inoltre, la sovversione parodistica della giustizia è ubiqua nella politica, così come nella vita personale. Ma c'è un'importante differenza. Normalmente noi non apprezziamo queste performances sovversive, e pensiamo che i giovani dovrebbero essere fortemente dissuasi dal vedere le norme di giustizia in una luce tanto cinica. La Butler non può spiegare in alcun modo puramente strutturale o procedurale perché la sovversione delle norme di genere è socialmente un bene, mentre la sovversione delle norme di giustizia è socialmente un male. Dovremmo ricordare che Foucault ha applaudito l'Ayatollah, e perché non lo avrebbe dovuto fare? Anche quella era resistenza, e non c'era in effetti nulla nel testo che ci dicesse che quella lotta valeva meno di una lotta per i diritti e le libertà civili.
 
C'è pertanto un vuoto, dunque, al cuore della nozione di politica della Butler. Questo vuoto può apparire liberante, perché il lettore lo riempie implicitamente con una teoria normativa dell'eguaglianza o della dignità umana. Ma non ci dobbiamo sbagliare: per la Butler, come per Foucault, la sovversione è sovversione, ed in principio può andare in ogni direzione. Infatti, la politica ingenuamente vuota della Butler è particolarmente pericolosa per le stesse cause che le sono care. Per ogni amico della Butler, ansioso di compiere delle performances sovversive che si beffano delle norme fiscali, della non-discriminazione, del trattare i compagni di corso in modo corretto. A queste persone dovremmo dire: "Non puoi semplicemente resistere come più ti piace, perché ci sono norme di correttezza, decenza e dignità che implicano che questo è un cattivo comportamento". Ma allora dovremmo articolare queste norme - ed è quello che la Butler si rifiuta di fare.
 
V.
Ma che ci offre con precisione la Butler quando ci consiglia la sovversione? Lei ci dice di compiere performances parodistiche, ma ci avverte che il sogno di sfuggire completamente alle strutture oppressive non è che un sogno: è all'interno delle strutture oppressive che noi possiamo trovare degli spazietti di resistenza, e questa resistenza non può sperare di cambiare la situazione complessiva. E qui c'è un quietismo pericoloso.
 
Se la Butler vuole solo metterci in guardia del pericolo di fantasticare un mondo idilliaco in cui il sesso non sollevi alcun serio problema, lei è saggia. Eppure spesso lei va molto oltre. Lei suggerisce che le strutture istituzionali che garantiscono la marginalizzazione delle lesbiche e dei gay nella nostra società, e la persistente ineguaglianza delle donne, non saranno mai cambiate in modo profondo; e così la nostra miglior speranza è far loro marameo, e trovare sacche di libertà personale al loro interno. "Chiamata con un nome ingiurioso, io entro nell'essere sociale, e poiché ho un certo attaccamento inevitabile alla mia esistenza, poiché un certo narcisismo si impossessa di ogni termine che conferisce l'esistenza, io sono condotta ad abbracciare i termini che mi ingiuriano perché mi costituiscono socialmente." In altre parole: non posso sfuggire alle strutture umilianti senza smettere di essere, così la miglior cosa che posso fare è deridere ed usare in modo pungente il linguaggio della subordinazione. Nella Butler, la resistenza è sempre immaginata come personale, più o meno privata, che non implica alcuna azione pubblica organizzata e senza ironia per il cambiamento legale od istituzionale.
 
Non equivale a dire ad uno schiavo che l'istituzione della schiavitù non cambierà mai, ma puoi trovare dei modi di deriderla e sovvertirla, trovando la tua libertà personale all'interno di questi atti di sfida attentamente limitati? Eppure è un fatto che l'istituzione della schiavitù può essere cambiata, e lo è stata - ma non dalle persone che hanno avuto un'idea butleriana delle possibilità. Fu cambiata perché la gente non si è accontentata delle performances parodistiche: loro hanno chiesto, ed in qualche misura hanno ottenuto, un sovvertimento sociale. E' inoltre un fatto che le strutture istituzionali che foggiano le vite delle donne sono cambiate. La legge sugli stupri, che pure ha ancora dei difetti, è perlomeno migliorata; esiste una legge sulle molestie sessuali, che prima non c'era; il matrimonio non è più visto come una cosa che dà all'uomo il controllo monarchico sui corpi delle donne. Queste cose sono state cambiate dalle femministe che non hanno accolto le performances parodistiche come una risposta, e che hanno pensato che il potere, quando cattivo, avrebbe dovuto cedere ed infine ceduto davanti alla giustizia. 
 
La Butler non solo si astiene da questa speranza, si compiace della sua impossibilità. Trova eccitante contemplare l'asserita immobilità del potere, ed immaginare le sovversioni rituali dello schiavo che è convinto che deve rimanere così. Lei ci dice - questa è la tesi centrale di "The Psychic Life of Power = La vita psichica del potere" - che noi tutti erotizziamo le strutture di potere che ci opprimono, e perciò possiamo trovare il piacere sessuale solo all'interno dei loro confini. Sembra essere per questo che lei preferisce gli arrapanti atti di sovversione parodistica ad ogni durevole cambiamento materiale od istituzionale. Un vero cambiamento sradicherebbe le nostre menti così tanto da rendere la soddisfazione sessuale impossibile. Le nostre libido sono la creazione delle malvage forze schiavizzatrici, e pertanto di struttura necessariamente sadomasochistica.
 
Beh, le performances parodistiche non sono così male quando sei una cattedratica in un'università progressista. Ma qui ì il punto in cui la concentrazione della Butler sul simbolico, il suo orgoglioso trascurare la parte materiale della vita, diventa una fatale cecità. Per le donne che sono affamate, analfabete, senza diritti politici, picchiate, stuprate, non è né arrapante né liberatorio ri-rappresentare, pur facendone una parodia, le condizioni di fame, analfabetismo, mancanza di diritti politici, pestaggi, stupri. Queste donne preferiscono il cibo, le scuole, il diritto di voto, e l'integrità del loro corpo. Non vedo motivo di credere che esse aspirino sadomasochisticamente ad un ritorno delle condizioni malvage. Se alcuni individui non riescono a vivere senza l'attrattiva sessuale dell'essere dominati, questo sembra triste, ma non è proprio affar nostro. Ma quando una teorica di vaglia dice alle donne che sono in condizioni disperate che la vita offre loro solo la schiavitù, essa ci offre una crudele menzogna, una menzogna che adula il male dandogli molto più potere di quanto ne abbia realmente.
 
"Excitable Speech", il libro più recente della Butler, che ci offre la sua analisi delle controversie legali che coinvolgono la pornografia e l'istigazione all'odio, ci mostra esattamente fino a che punto giunge il suo quietismo. Dacché ella ora è disposta a dire che anche dove è possibile un cambiamento giuridico, anche dove è già avvenuto, dovremmo augurarci che non ci sia (stato), per conservare lo spazio in cui l'oppresso possa recitare i suoi rituali sadomasochistici di parodia.
 
Come opera sul diritto della libertà di parola, "Excitable Speech" è un libro catastroficamente pessimo. La Butler non dimostra alcuna conoscenza delle principali trattazioni teoriche sul Primo Emendamento, e nessuna coscienza dell'ampia gamma di casi che una simile teoria dovrebbe prendere in considerazione. Ella fa delle affermazioni giuridicamente assurde: per esempio, ella afferma che l'unico tipo di discorso che è stato dichiarato 'non protetto' è il discorso che è stato precedentemente descritto come condotta anziché come discorso. (In effetti, ci sono molti tipi di discorso, dalla pubblicità mendace o fuorviante, alle affermazioni diffamatorie, all'oscentià così come attualmente definita, di cui non si è mai detto che fossero azioni anziché discorsi, ed a cui nondimeno viene negata la protezione del Primo Emendamento.) La Butler afferma anche, sbagliando, che l'oscenità è stata giudicata come l'equivalente delle "parole bellicose". E non è che la Butler abbia un argomento che sostenga la sua rilettura dell'ampia gamma di casi di discorso 'non protetto' che una descrizione del Primo Emendamento dovrebbe coprire. Semplicemente lei non si è accorta che c'è quest'ampia gamma di casi, o che la sua opinione non è un'opinione giuridica ampiamente accettata. Nessuno che abbia interesse nel diritto potrebbe prendere sul serio i suoi argomenti.
 
Ma estraiamo dalla fievole discussione della Butler dell'istigazione all'odio ed alla pornografia il nocciolo della sua posizione. E' questa: le proibizioni legali dell'istigazione all'odio e la pornografia sono problematiche (anche se alla fine essa non si oppone chiaramente ad esse) perché chiudono lo spazio in cui le parti lese da questo discorso possono compiere la loro resistenza. Con questo la Butler sembra intendere che se all'attacco si reagisce ricorrendo al sistema giudiziario, ci saranno meno occasioni di protesta informale; ed anche, forse, che se l'offesa diviene più rara perché illegale, ci saranno meno opportunità di protestare contro la sua presenza.
 
Beh, sì. La legge chiude questi spazi. L'istigazione all'odio e la pornografia sono argomenti estremamente complicati su cui le femministe possono ragionevolmente dissentire. (Eppure, uno dovrebbe esprimere con precisione le opinioni che si confrontano: il modo in cui la Butler riferisce della MacKinnon è meno che accurato, dacché afferma che la MacKinnon appoggia delle "ordinanze contro la pornografia", e suggerisce che, ad onta dell'esplicita negazione della MacKinnon, esse implicano una forma di censura. La Butler non menziona mai che quello che effettivamente sostiene la MacKinnon è un'azione civile per danni in cui le donne individualmente danneggiate dalla pornografia possono far causa ai suoi autori e distributori.)
 
Ma l'argomento della Butler ha implicazioni che vanno ben oltre i casi dell'istigazione all'odio e della pornografia. Sembra sostenere non solo il quietismo in queste aree, ma un quietismo legale molto più generale - o, in effetti, un libertarismo radicale. Funziona così: disfiamoci di tutto, dai piani regolatori alle leggi contro la discriminazione alle leggi contro lo stupro, perché esse chiudono gli spazi all'interno dei quali i residenti danneggiati, le vittime della discriminazione, le donne stuprate possono compiere la loro resistenza. Ora, questo non è lo stesso argomento che usano i libertari radicali per opporsi ai piani regolatori ed alle leggi contro la discriminazione; ed anche loro mettono lo stupro al di là del segno. Ma le conclusioni convergono.
 
Se la Butler replicasse che la sua argomentazione riguarda solo il discorso (e non c'è ragione espressa nel testo per questa limitazione, data l'assimilazione del discorso pericoloso alla condotta), allora possiamo rispondere nel dominio del discorso. Abroghiamo le leggi contro la pubblicità ingannevole e le diagnosi mediche compiute da persone non qualificate, perché chiudono lo spazio in cui i consumatori avvelenati ed i pazienti mutilati possono compiere la loro resistenza! Ancora una volta, se la Butler non approva queste estenzioni, deve presentare un'argomentazione che divida i suoi casi da questi casi, e non è chiaro che la sua posizione le permetta di fare questa distinzione.
 
Per la Butler, l'atto sovversivo è così incantevole, così arrapante, che è un brutto sogno pensare che il mondo migliorerà davvero. Che noia l'eguaglianza! Niente bondage, niente delizia. In questo modo, la sua pessimistica antropologia erotica sostiene una politica anarchica amorale.
 
VI.
Quando noi consideriamo il quietismo intrinseco agli scritti della Butler, abbiamo alcune chiavi per comprendere l'influente fascinazione con le drag ed il travestimento come paradigmi della resistenza femminista. I seguaci della Butler intendono la sua descrizione delle drag come implicante che queste performances sono dei modi per le donne di essere audaci e sovversive. Non conosco tentativi della Butler di respingere queste interpretazioni. 
 
Ma di che si tratta alla fine? La donna vestita da uomo non è per niente una novità. Infatti, anche quando era relativamente nuova, nel diciannovesimo secolo, era da un altro verso piuttosto vecchia, in quanto non faceva che replicare nel mondo lesbico gli stereotipi e le gerarchie esistenti della società maschio-femminile. Che cos'è, potremmo chiederci, la sovversione parodistica in quest'area, e che cosa un tipo di accettazione da parte di un prospero ceto medio? La gerarchia nelle drag non è ancora gerarchia? Ed è proprio vero (come "The Psychic Life of Power" sembra concludere) che dominio e soggezione sono i ruoli che le donne debbono recitare in ogni sfera, e se non si tratta di soggezione, si tratta di dominio di tipo maschile?
 
In una parola, travestirsi per le donne è un copione vecchio e trito - come la stessa Butler ci informa. Eppure lei vorrebbe che noi vedessimo il copione sovvertito, rinnovato, dagli scaltri gesti sartoriali della travestita; ma dobbiamo ancora chiederci se è cosa nuova, e pure se è sovversiva. Pensate alla parodia di Andrea Dworkin (nel suo romanzo "Mercy = Misericordia") di una femminista parodista alla Butler, che annuncia dalla sua posizione di sicuro agio accademico:
 
"La nozione che accadono cose cattive è tanto propagandistica quanto inadeguata. ... Capire la vita di una donna esige che noi affermiamo le dimensioni nascoste od oscure del piacere, spesso nel dolore, e della scelta, spesso sotto costrizione. Uno deve sviluppare un occhio per dei segni segreti - i vestiti che sono più che vestiti od abbellimenti nel dialogo contemporaneo, ad esempio, o la ribellione nascosta dietro l'apparente conformità. Non c'è vittima. C'è forse un'insufficienza dei segni, una testarda apparenza di conformità che semplicemente maschera il livello più profondo in cui avviene la scelta.
 
In una prosa alquanto diversa da quella della Butler, questo brano cattorua l'ambivalenza dell'autore implicito di alcune delle opere della Butler, che trae piacere nella sua pratica di violazione, mentre allontana risolutamente il suo occhio teorico dalla sofferenza materiale delle donne che sono affamate, analfabete, violate, picchiate. Non c'è vittima. C'è solo un'insufficienza di segni.
 
La Butler suggerisce ai suoi lettori che questa furba parodia dello status quo è l'unico copione resistenziale che la vita ci offre. Beh, no. Oltre ad offrire molti altri modi di essere umani nella propria vita personale, oltre alle norme tradizionali di dominio e soggezione, la vita offre anche molti copioni resistenziali che non si concentrano narcisisticamente sull'auto-presentazione. Tali copioni coinvolgono le femministe (ed altri, ovviamente) nella costruzione di leggi ed istituzioni, senza troppe preoccupazione per il modo in cui una donna mette in mostra il suo proprio corpo e la sua natura dotata di genre: in una parola, impongono di lavorare per altre persone che soffrono.
 
La grande tragedia della nuova teoria femminista in America è la perdita del senso dell'impegno pubblico. In questo senso, il femminismo egoistico della Butler è estremamente americano, e non c'è da stupirsi che abbia preso piede qui, dove la gente di successo della classe media preferisce concentrarsi sulla coltivazione del sé anziché pensare in un modo che aiuti le condizioni materiali altrui. Ma anche in America è possibile per i teorici dedicarsi al bene pubblico ed ottenere qualcosa con questo sforzo.
 
Molte femministe in America stanno tuttora teorizzando in un modo che sostiene il cambiamento materiale ed affronta la situazione dei più oppressi. Però, sempre più si vede come la tendenza accademica e culturale sia verso la civetteria pessimista rappresentata dalle teorie della Butler e dei suoi allievi. Il femminismo butleriano è in molti modi più semplice del vecchio femminismo. Dice a decine di giovani donne di talento che non hanno bisogno di lavorare perché sia cambiata la legge, perché siano nutriti gli affamati, od attaccato il potere con una teoria al servizio della politica materiale. Loro possono far politica nella sicurezza dei loro campus, rimanendo a livello simbolico, facendo gesti sovversivi al potere attraverso le parole ed i gesti. Questo, dice la teoria, è pressoché tutto quello che possiamo fare comunque, con l'azione politica, e non è eccitante ed arrapante?
 
Ovviamente, nella sua piccola via, questa è una politica di speranze. Istruisce la gente che ora loro possono, senza compromettere la loro sicurezza, fare qualcosa di audace. Ma l'audacia è puramente gestuale, e nella misura in cui l'ideale della Butler suggerisce che questi gesti simbolici sono un autentico cambiamento politico, offre solo una falsa speranza. Le donne affamate non ne sono nutrite, le donne picchiate non vi trovano rifugio, le donne stuprate non vi trovano giustizia, i gay e le lesbiche non ricevono con esso protezione legale.
 
Infine, c'è disperazione al cuore dell'allegra impresa butleriana. La gran speranza, la speranza di un mondo di autentica giustizia, dove le leggi e le istituzioni proteggono l'eguaglianza e la dignità di tutti i cittadini, è stata bandita, e pure magari schernita come sessualmente noiosa. Il quietismo alla moda della Butler è una risposta comprensibile alla difficoltà di realizzare la giustizia in America. Ma è una risposta cattiva. Collabora con il male. Il femminismo chiede di più e le donne meritano di meglio.
 
(unquote)
 
Articolo di Martha Nussbaum, 1999
Traduzione di Fedra, 2010