domenica 20 settembre 2009

Impressioni dopo un viaggio in Egitto

In fondo a questo post troverete un articolo di Hassan Ansah, scrittore e giornalista freelance che insegna alla Western International University di Phoenix, Arizona, USA, ed all'American University of Cairo, Egitto.

Il prof. Ansah parla del perché mai in un paese di 80 milioni di abitanti, ed in una città che di milioni di abitanti ne ha quasi 20, con un reddito pro capite che è un quinto di quello italiano, i crimini violenti siano estremamente rari - ed ho potuto constatare di persona che vecchi, donne e bambini vanno in giro per il Cairo alle due del mattino senza timore alcuno, mentre gli abitanti delle periferie di Tel Aviv si chiudono in casa già alle nove di sera per non fare brutti incontri.

Quello che dice Hassan Ansah non è quindi solo una vanteria e, confrontando il Cairo con il resto del mondo occidentale (Israele compreso), potremmo dire che abbiamo completamente fallito, perché uno stato che non riesce a garantire l'incolumità delle persone è uno stato che non ha senso.

Qualcuno dirà: "E gli allarmi del governo israeliano ai suoi cittadini perché non si rechino in Egitto?" Li avevo presi sul serio (anche se non sono israeliano) e stavo attento, ma nessuno ha cercato di torcermi un capello.

Da anni non accade assolutamente nulla agli israeliani che si recano in Egitto, e gli stessi miei amici israeliani si sono convinti che questi allarmi servano più a combattere la "concorrenza sleale" che gli albergatori egiziani fanno agli albergatori israeliani che a tutelare l'incolumità dei cittadini - il dubbio è emerso negli anni scorsi anche sulla stampa israeliana.

Ho degli amici in Egitto che hanno reso il mio soggiorno più bello, e mi hanno detto che è molto consigliato per un israeliano non rivelare la sua nazionalità, perché è soltanto il governo egiziano che ha rapporti con il governo israeliano; a livello sociale, avere a che fare con degli israeliani è assolutamente tabù, e questo vale sia per il mendicante che per l'uomo di cultura - ed anche per le banche: nessuna banca egiziana cambia sicli israeliani (e le banche israeliane ricambiano il favore non cambiando lire egiziane).

Ma il rischio per l'israeliano che viene scoperto è l'essere snobbato, non l'essere aggredito ed ucciso. Ho potuto scoprirlo quando mi hanno riaccompagnato all'aeroporto del Cairo: il mio accompagnatore si dimostrò estremamente gentile finché non scoprì che dovevo prendere un volo El Al per il Natba"g (Namal Te'ufah Ben Gurion - Aeroporto Ben Gurion): la sua cortesia divenne da tropicale polare in un batter d'occhio, ma all'aeroporto mi portò.

L'articolo di Hassan Ansah compare a pagina 62 della 5^ edizione italiana (Ottobre 2008) della guida "Lonely Planet" dell'Egitto; è un'ottima pubblicazione, ma con un difetto: è redatta da americani, che sono abituati ad un traffico ordinato come quello di una ferrovia od una rotta aerea, e quando si trovano nella Megalopoli Vittoriosa (Al Qahira = La Trionfante) si spaventano di fronte ad un traffico "allo stato di natura".

In Egitto non è obbligatoria la patente per guidare; come dissi ad un amico egiziano: "Un'auto di 200.000 chilometri è vecchia in Italia, ma è giovane al Cairo" e, sebbene non manchino viali larghi anche cinque corsie per carreggiata, circolare in questa megalopoli nei giorni feriali (venerdì e sabato sono festivi) vuol dire spostarsi da un ingorgo all'altro. Chi parla male degli automobilisti israeliani dovrebbe fare una capatina al Cairo.

Però ... proprio perché la velocità media è bassa (soltanto a notte fonda ci si può arrischiare a correre nei viali di circonvallazione), gli incidenti mortali sono estremamente rari, ed anche i bambini di cinque anni possono permettersi di attraversare alle nove di sera rotonde di tre corsie intorno all'isola di traffico, senz'altra precauzione che guardare gli automobilisti negli occhi, e sopravvivere! In Europa verrebbero immediatamente investiti.

Ci sono un mucchio di poliziotti al Cairo e dintorni, a tutte le ore del giorno e della notte, ma quando si tratta di traffico si occupano solo delle infrazioni più gravi; circolare di notte a luci spente (gli egiziani sono generosissimi con i loro ospiti, ma quando si tratta di lampadine elettriche sono spilorci), anche sull'autostrada che porta dal Cairo ad Alessandria attraverso il deserto, non è considerata un'infrazione grave.

Potrei raccontarvi diversi gustosi aneddoti sul traffico del Cairo, ma vi dico solo che non ho visto gatti spiaccicati per le strade - spettacolo invece comune in Italia; in compenso sulla sopraelevata ho visto una volta la carcassa di un cane randagio. Probabilmente i guidatori egiziani rispettano i mici come i loro antenati dell'epoca dei faraoni - mentre non amano altrettanto i cani, che la maggior parte dei mussulmani considera impuri.

Visto che qui si parla spesso dell'Islam e del pericolo che consisterebbe per la civiltà europea, vorrei dire che, sebbene l'Egitto sia considerato dalla Freedom House un paese "non libero", si svolgerà lì il prossimo mese il congresso dell'Internazionale Liberale, il che vuol dire che un minimo (ma un minimo basso) di libertà in quel paese c'è.

I miei amici hanno detto che gli egiziani sono il popolo più religioso del mondo arabo, ma non hanno niente dello stupido fanatismo dell'Arabia Saudita. I sauditi sono considerati il più ignorante dei popoli arabi, e la loro religiosità vuota e puramente formale.

Infatti, loro pregano e studiano, ma la corruzione in quel paese impera, e gli uomini lì molestano le donne in tutti i modi (non solo opprimendo quelle della loro famiglia, ma proprio molestando sessualmente amiche e colleghe di lavoro, come se il sesso fosse per gli uomini un diritto e per le donne un dovere). Se questo è essere buoni mussulmani ..., commentavano i mei amici che in Arabia Saudita ci sono stati per diverso tempo.

Il caso della giornalista che ha rischiato la fustigazione in Sudan perché indossava il velo ed i pantaloni è ben noto e condannato in Egitto - e quando me ne hanno accennato, ho risposto: "Mi volete dire che la metà delle donne egiziane non può mettere piede in Sudan perché è vestita proprio come quella giornalista?", ed i miei interlocutori hanno apprezzato il commento.

Infatti il 90% delle donne egiziane porta il velo; però ... non si comportano diversamente dalle donne che incontro in Italia. Ci sono infatti donne (di tutte le età: alcune donne portano il niqab, che lascia scoperti solo gli occhi, ma se una donna è bella e giovane, lo si capisce lo stesso) che portano oltre al velo sui capelli una palandrana che nasconde le forme del corpo, e ragazzine che oltre al velo portano i jeans e magliette tanto strette che puoi capire non solo la misura, ma perfino il tipo di reggiseno che indossano.

Queste ragazzine vanno in giro da sole o con le amiche, vanno a braccetto col fidanzato, vanno a cena con lui al ristorante ... si comportano insomma come le ragazzine europee; che col ragazzo vadano anche a letto è abbastanza improbabile, ma in pubblico non sembrano per nulla oppresse.

Non sono tipo da danza del ventre, e di arabo conosco pochissime parole (lo avevo studiato anni fa, ma poi l'ho dimenticato), per cui i miei amici hanno avuto l'idea di portarmi a due letture poetiche. La lingua araba è considerata specialmente adatta per l'oralità, ed ho potuto constatarlo: non capivo nulla delle parole, ma riuscivo ad apprezzare il ritmo e la musicalità dei versi, ed a farmi perciò un giudizio su quel che veniva declamato.

I miei amici mi accennavano al contenuto delle poesie, e riuscivo così a capire anche perché ogni tanto il pubblico rideva a crepapelle quando il poeta satireggiava i vizi pubblici e privati dell'Egitto.

Alcuni di questi poeti hanno voluto cantare la loro poesia, non soltanto declamarla, e mi sono sentito come un abitante del deserto che quindici secoli fa ascoltava un aedo - insomma, catapultato agli albori della poesia araba; ma non c'è solo l'antichità delle forme in queste canzoni: uno di costoro aveva portato un lettore MP3, lo collegò all'amplificatore della sala, e poté cantare accompagnato da musica e coro.

Visto che il cantautore parlava anche inglese, gli chiesi poi se lui aveva comprato una base da karaoke ed aveva adattato ad essa la sua canzone; mi rispose che si era invece recato in uno studio discografico e l'aveva fatta incidere lì. Non potei che complimentarmi calorosamente per l'ottima musica ben abbinata ai suoi versi, e notare che gli egiziani sono pienamente a loro agio con la tecnologia.

La seconda lettura poetica era alla fine di una serata organizzata da una società di geologia, sotto forma di una serie di brevi conferenze - sembra che sia una tradizione egiziana od araba terminare una serata dedicata ad argomenti seri con una lettura poetica molto apprezzata dal pubblico, e non ho potuto fare a meno di ricordare l'antica tradizione del teatro europeo di far seguire alla tragedia la commedia, oppure le tenzoni poetiche che si svolgono ancora nelle feste patronali in Sardegna, in cui dopo la messa solenne i sardi mostrano un amore per la poesia "in limba" non inferiore a quello degli arabi.

Quando sono entrato nella sala in cui si sarebbe svolta la lettura poetica, era in corso un'animata discussione, ed un'amica mi spiegò che il relatore aveva pesantemente criticato il pensiero di Sayyid Qutb, il principale ideologo dei Fratelli Mussulmani, ed una ragazza del pubblico aveva ritenuto che la critica fosse andata troppo oltre, finendo con l'attaccare anche i fondamenti dell'Islam.

Commentai con la mia amica: "Beh, anche se aveva torto, sono stato contento che ad alzare la voce sia stata una donna"; la mia amica rise e rispose: "Le donne arabe non stanno mica zitte: mi conosci, no?"

Quando ero in Egitto, era Ramadan, ed avevo paura di morire non di fame (sono abbastanza grassoccio per sopravvivere a queste cose), ma di sete. Però i miei amici mi spiegarono che l'Egitto non è l'Arabia Saudita, e che è permesso mangiare e bere in pubblico durante il Ramadan; pertanto era mia scelta se digiunare o no.

Vi posso raccontare quello che ho potuto constatare durante il Ramadan al Cairo: quando il pomeriggio volge verso la sera, ed il sole sta per tramontare, la gente va nei caffé e nei ristoranti (anche nei locali KFC, McDonald, ecc.), ed occupa il posto in attesa che il muezzin proclami "Allahu akbar", interrompendo così il digiuno, e poi si avventa sul cibo.

Chi non viene prima, può dover aspettare anche due ore prima di riuscire a mettere qualcosa sotto i denti; ho potuto però constatare che molte persone non hanno la pazienza di attendere le parole del muezzin, e nessuno si rifiuta di servirli; mi è capitato di mangiare in un ristorante a mezzogiorno (un bel ristorante nel Khan Al-Khalili, l'antichissimo mercato della città) che era aperto, con i camerieri in divisa, pronto a ricevere la clientela - che poteva entrare tranquillamente, senza guardarsi intorno come chi sta per godere di un piacere proibito.

Ma la cosa più interessante era avvenuta già di mattina: avevo appuntamento con i miei amici in Midan At-Tahrir (Piazza della Liberazione), la più importante piazza del Cairo, ed essendo arrivato in anticipo, sono entrato in un bar per bere qualcosa.

Non c'erano molte bibite nel frigo con la vetrina (probabilmente erano conservate nel congelatore in attesa della rottura serale del digiuno), ma c'era una lunga fila di narghilé (la parola è d'origine persiana, ed è usata nella forma "nargila" in Libano e Palestina; in Egitto li chiamano "shisha") pronti per l'uso, e su un fornello c'era la brace ardente che bisognava mettere sulle foglie di tabacco al momento di fumarle.

La brace non è bruciata inutilmente: mentre io bevevo le mie bibite, altre persone sono entrate nel bar ed hanno fumato il narghilé, chi per poco tempo, chi a lungo e voluttuosamente. Non che mi auguri che i mussulmani violino i precetti della loro religione (anche perché, come mi hanno ricordato i miei amici, certo li ha violati la minoranza dei terroristi che ha insanguinato il mondo), ma queste piccole violazioni del Ramadan sono la dimostrazione che in Egitto si è osservanti per libera scelta.

Certo, i problemi non mancano: per esempio, anche se ho visto molte chiese relativamente nuove al Cairo, il Dipartimento di Stato USA lamenta che i cristiani (il 30% della popolazione, quindi circa 24 milioni di persone) sono fortemente discriminati, e non riescono a costruire nuove chiese; gli ebrei sono quasi scomparsi (anche se ho potuto visitare la Sinagoga di Ibn Ezra, quella nota in tutto il mondo grazie alla sua "ghenizà"), ed ai Baha'i è riservato un trattamento canino.

E' inoltre da evitare il dichiararsi atei o sostenitori dei Fratelli Mussulmani - non si deve dimenticare che Sayyid Qutb fu fatto impiccare (morte particolarmente ignominosa per un mussulmano) da Gamal Abdel Nasser (mentre tutti i governi israeliani hanno rifornito invece di armi micidiali i discepoli di Rav Avraham Yitzchaq Quq che andavano a violare la 4^ Convenzione di Ginevra - per non dir peggio).

Gli stessi giornali egiziani lamentano che la democrazia in Egitto è di livello molto inferiore a quello dei paesi più avanzati, e certo inferiore a quello richiesto dalle mai sopite ambizioni egiziane di essere la nazione guida del mondo arabo.

Direi però che chi teme il "califfato universale" viene smentito da quello che ho visto: molti mussulmani egiziani disprezzano il wahabismo che l'Arabia Saudita sta cercando di diffondere in mezzo a loro, e la maggioranza vuole continuare ad essere religiosa, ma anche tollerante e pragmatica. Il radicalismo è un problema soprattutto dei mussulmani, che ne sono le prime vittime, e solo in seconda battuta nostro.

Le donne arabe hanno la lingua lunga come il Nilo, e stanno lentamente ma risolutamente cercando di liberarsi del maschilismo - mi sono rammaricato di dover dir loro che in Italia (paese che gli egiziani amano moltissimo) la situazione è purtroppo ben lontana dall'ideale.

Anzi, direi che è quasi peggiore: dopo il mio ritorno dall'Egitto ho cominciato a leggere i romanzi di Nagib Mahfuz (1911-2006), Premio Nobel per la Letteratura 1988, e vittima nel 1994 di un attentato da parte di un membro dei Fratelli Mussulmani.

Mahfuz non è per nulla femminista, e fa fatica a dar voce ai suoi personaggi femminili; purtuttavia le sue donne sono delle vere e proprie "virago", spesso più forti dei suoi uomini, e certo molto più forti delle donne dei romanzi europei ed italiani che ho letto - salvo quelli di Grazia Deledda, che attinge alla stessa tradizione matriarcale mediterranea.

Se quello che vale per la letteratura vale anche per la vita, devo pensare che le donne egiziane sono capaci di mangiare i fagioli in testa a qualsiasi uomo italiano.

Molte donne italiane hanno paura dell'Islam perché si rendono conto che gli uomini italiani sono deboli e potrebbero essere tentati di ricorrere all'antifemminismo della pratica corrente dell'Islam per ristabilire il loro traballante status; il consiglio che darei loro sarebbe di dire a questi fifoni: "Vi piace l'Islam? Bene, ma non lasciate venire qui solo gli imam fondamentalisti, quelli che al loro paese non se li fila nessuno o rischiano di finire in prigione; portate anche le donne mussulmane in età da marito e provate ad essere degni di loro!"

Garantito che gli uomini italiani preferiscono una Lucia Mondella ad un'Umm Hamida (una delle protagoniste di "Vicolo del mortaio", e non la più feroce delle virago di Mahfuz) e, dopo aver misurato la differenza, se si convertiranno all'Islam sarà per convinzione e non per comodo :-)

Tra parentesi, anche gli egiziani hanno ovviamente degli stereotipi nei nostri confronti, tra i quali quello secondo cui americani ed europei sarebbero estremamente colti - ho detto solo che non è purtroppo vero, e non sono sceso in particolari parlando di Giovanni Gentile (la cui riforma del 1922 fu ferocemente stroncata da Vito Volterra con argomenti che non hanno perso di attualità), Giovanni Berlinguer e Maria Stella Gelmini :-)

Ora vi copio l'articolo. Vi avverto però che esso parla solo dei crimini violenti, non delle truffe e delle insistenti pretese di "bakshish" (mance o mazzette), tutte cose molto frequenti che impongono al turista di stare in campana: non vi ammazzano e non vi stuprano, ma se gliene date l'occasione, vi spennano.

Attenti soprattutto a chi esordisce dicendo: "Ma lo sa che lei sembra proprio egiziano?" E' un modo di fare un complimento, ma il più delle volte chi lo fa vuole poi fregarvi. Io mi sono sentito dire: "Ma lo sa che lei sembra ebreo?" quando ho comprato un librone sulla Sinagoga di Ibn Ezra senza contrattare il prezzo - ma chi sta facendo di tutto per tenere aperto questo monumento merita la mia generosità.

La cosa peggiore è che in Egitto vige (per costume, non certo per legge) il "doppio prezzo" - ovvero al turista viene imposto un prezzo ben maggiore che al nativo; andare in taxi con un egiziano significa risparmiare un bel po' di soldi.

(quote)

L'assenza di criminalità violenta in Egitto, di Hassan Ansah

I sociologi sostengono che la criminalità e la povertà siano strettamente correlate e praticamente inscindibili. Eppure, nonostante le diffuse e talvolta terribili condizioni di povertà in cui la maggioranza degli egiziani si ritorva a vivere, il tasso di criminalità violenta dell'Egitto è inferiore a quello degli Stati Uniti e del Regno Unito. Ovviamente viene spontaneo chiedersi perché i crimini violenti siano così rari, soprattutto i casi di stupro e di omicidio; stupisce in particolare che questi dati valgano anche per il Cairo, dove milioni di persone vivono in condizioni di alta densità demografica, disoccupazione e disagio urbano. Per dare una risposta a questa domanda occorre innanzitutto capire che la criminalità - al pari di qualunque altra variabile sociale - rispetta le norme culturali di un paese.

Mentre molte nazioni sviluppate dell'Occidente hanno la tendenza a guardare con sospetto le società islamiche come quella egiziana, in realtà avrebbero molto da imparare da un paese che attribuisce una tale importanza alla fede. Per la maggioranza degli egiziani la vita terrena è finalizzata all'aldilà (un religioso del luogo ha osservato scherzando che in Egitto tutti vivono per buona parte del tempo in una bara!), in osservanza di una tradizione conservatrice che pervade praticamente ogni aspetto dell'esistenza. Tale atteggiamento ha creato e mantenuto un sistema di valori e di principi morali che ha contribuito a ridurre la criminalità violenta. Diversamente da quanto accade nei paesi occidentali e anche in altre due potenti nazioni africane, il Sudafrica e la Nigeria, in Egitto la criminalità raramente è casuale e non è mai rivolta verso gli stranieri.

Benché il governo egiziano cerchi di porre le basi di una società gestibile e rispettosa delle leggi, in realtà sono la famiglia e la comunità a far sì che si crei l'ambiente sicuro e privo di pericoli presente in tutto il paese. In Egitto la religione è la struttura che regola ogni aspetto dell'esistenza e che tiene unita la nazione. L'ethos familiare, mantenuto e alimentato dalla legge islamica, costituisce la base su cui si fondano i principi e i sistemi di collaborazione, arbitrato, soluzione dei conflitti e assistenza economica dell'intera comunità. Queste interazioni servono anche a far rispettare i valori morali comuni, un fatto che funge indubbiamente da deterrente contro la criminalità all'interno della comunità. La violazione di questi codici etici non scritti ha spesso conseguenze pesanti, al punto che chi li infrange potrebbe non riuscire a trovare un lavoro, un consorte, una casa o perfino incontrare gravi difficoltà con la burocrazia dello stato.

A differenza dei paesi occidentali, dove i conflitti vengono spesso risolti all'interno dei tribunali, in Egitto la maggior parte dei contenziosi e delle trattative si svolge in pubblico in modo alquanto teatrale, con lo scopo di sostenere o danneggiare la propria o l'altrui reputazione. Per esempio, una procedura normale consiste nel mettersi a gridare per strada, in una tranquilla serata qualunque, per rimproverare un amico in ritardo nel saldare un debito, rendendo così noto all'intera comunità che la persona in questione è disonorevole e poco affidabile. Oppure, nei casi di violenza coniugale, per le donne è considerato del tutto normale salire sul tetto della propria casa e urlare che il marito le ha percosse.

Questo codice morale messo in atto dalla comunità crea un ambiente assai poco invitante per gli aspiranti criminali. Anzi, secondo alcuni, queste reti sociali informali e profondamente legate tra loro servirebbero anche a mitigare il senso di povertà percepito dalla maggioranza degli abitanti. Come ha detto un cairota, forse è la radicata abitudine egiziana a "ficcare il naso" che aiuta a mantenere la pace.

Hassan Ansah è scrittore e giornalista freelance che insegna alla Western International University di Phoenix, in Arizona, e all'American University of Cairo (AUC).

(unquote)

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