martedì 1 settembre 2009

Fallacie naturalistiche: evitarle e caderci

[1] http://www.bol.it/remainders/Chi-e-l-uomo/Abraham-Joshua-Heschel/ea978887710638/

[2] http://www.moked.it/unione_informa/081229/081229.htm

[3] http://sbp.provincia.verona.it/index.php?page=View.DocDetail&id=440842

[4] http://www.bol.it/libri/diseguaglianza.-riesame/Amartya-Sen/ea978881507876/

[5] http://www.bol.it/libri/audacia-speranza.-sogno/Barack-Obama/ea978881702435/

[6] http://www.cortecostituzionale.it/istituzione/lacorte/fontinormative/lacostituzione/costituzione_principii.asp

In un altro post di questo blog ho citato il rabbino americano Abraham Joshua Heschel z. l., e come sapeva evitare brillantemente la fallacia naturalistica, ovvero il credere che, poiché una cosa si rinviene in natura, essa abbia anche un significato morale.Ammetto anche che una volta volevo citarlo in una storiella di fantascienza: un'extraterrestre femmina (nel senso che assume sembianze femminili quando si trova tra gli umani) vuol diventare ebrea, e l'unico rabbino capace di darle una risposta sensata (anche se negativa) risulta proprio AJ Heschel.

Lui infatti spiega in [1] che non si accontenta della definizione di essere umano che darebbe un biologo, in quanto l'uomo per lui è un essere alla ricerca di significato; e la sua dignità consiste nel sentirsi necessario e desiderato da un essere supremo - D%o, che lo desidera sebbene non Gli manchi nulla, e così lo ama per quello che è e non per quello che si aspetta da lui.

Per cui il nostro rabbino risponde alla postulante che per lui conoscere qual forma di vita ella sia non è rilevante; il requisito essenziale per un giur (conversione) è invece il sentirsi desiderata dall'Et^rno, perché allora può ricambiarLo ed entrare in rapporto con Lui nelle forme e nei modi stabiliti dall'ebraismo.

Se lei prova questo sentimento, tutti gli ostacoli alla conversione possono essere affrontati, altrimenti non è il caso di provarci - e la postulante onestamente ammette che non è il suo caso.

Passando dalla letteratura alla realtà, devo dire che non tutti gli ebrei riescono ad evitare la fallacia naturalistica nel modo brillante di Heschel.

Un esempio lo troviamo in [2], che riporto:

(quote)

Un pensiero per l'ottavo e ultimo giorno di Chanukkà. I giardini pubblici a Roma sono recintati con una tipica barriera alta circa un metro fatta di tronchi di legno disposti a “x”. Quasi della stessa altezza e allo stesso modo era fatto il sorèg, una delle barriere, più simboliche che reali, che delimitavano l'accesso al Tempio di Gerusalemme. La Mishnà (Middot, cap. 2) racconta che quando i greci profanarono il Tempio introducendovi l'idolatria, aprirono tredici varchi nel sorèg; gli Asmonei quando vinsero e restaurarono il Tempio li chiusero, introducendo la prescrizione ai passanti di fare un inchino davanti a questi varchi. Quello che non racconta la Mishnà è il significato di questa apertura e chiusura; il sorèg serviva a delimitare l'area oltre la quale i non ebrei, che pure erano benvenuti a pregare nell'area del Tempio (come già aveva detto il re Salomone) non potevano passare. Altre aree più interne erano progressivamente precluse a diverse categorie del popolo ebraico (non sacerdoti ecc.). L'idea dei greci e dei loro collaboratori, aprendo il sorèg, era di rendere tutti uguali. Ma forse più che democrazia era demagogia, perché spesso proprio quando si dichiara che tutti sono uguali emergono le differenze.

[Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma]

(unquote)

Gli ultimi due periodi di Rav Di Segni, cioè "L'idea dei greci e dei loro collaboratori, aprendo il sorèg, era di rendere tutti uguali. Ma forse più che democrazia era demagogia, perché spesso proprio quando si dichiara che tutti sono uguali emergono le differenze." sono dal mio punto di vista problematici perché "le differenze" vengono qui assolutizzate.

Non ci si chiede qui se ciò che è differenza rilevante in un contesto (per esempio, nel Tempio di Gerusalemme) è irrilevante in un altro (la vita sociale e politica in un paese in cui si osserva la separazione della religione dallo stato, ad esempio), né in base a cosa alcune differenze vengono ignorate ed altre invece evidenziate nei diversi contesti.

Tutto questo fa pensare che "le differenze" di cui parla Rav Di Segni siano per lui "autoevidenti", che cioè si impongano alle percezioni ed al pensiero di ognuno per forza propria, contro cui è vana ogni decisione umana.

Ovvero: fanno parte dell'ordine della natura, ed hanno un significato che non è solo conoscitivo, ma anche etico.

Heschel, insistendo che l'uomo deve imparare dalla storia e non dalla natura a distinguere il bene dal male, riusciva ad evitare splendidamente questa fallacia.

Rav Di Segni non è l'unico ebreo che ci cade; ci cadde anche un grande pensatore socialista come Léon Blum.

Non ho più il brano che lui aveva scritto, citato in [3], e devo accontentarmi di riassumerlo a memoria: lui diceva che l'eguaglianza sociale e politica deve ricalcare le disuguaglianze naturali senza aggiungervi o togliervi nulla - dimodoché se una persona è diseguale, non è perché la società gli ha fatto torto.

Blum aveva scritto questo nel 1945, poco dopo essere uscito dai campi di concentramento nazisti, e poco prima di morire, e certo non pensava alle "disuguaglianze" tra le "categorie" di persone normalmente conosciute come razza, sesso, religione, eccetera, ma alle disuguaglianze tra gli individui che portano a disuguaglianze di talento e capacità di guadagnarsi da vivere.

Se vogliamo, l’eguaglianza di Blum è simile a quella del buon maestro di scuola, che nota che nella sua classe ci sono alunni più dotati ed altri meno, ed i voti che somministra rispecchiano questa disuguaglianza e nient’altro.

Già pedagogicamente, questo paragone sarebbe considerato molto ingenuo; e nella filosofia politica il problema della disuguaglianza è molto spinoso, tanto che mi guardo bene dall'affrontarlo qui (chi vuole averne almeno un'idea può leggersi [4]); voglio solo ripetere quello che disse una volta Warren Buffet a Barack Obama (citato in [5]), cioè che il talento non è una semplice dote naturale, perché ogni società favorisce una precisa gamma di talenti.

Warren Buffet è uno degli uomini più ricchi del mondo, ma (lo ricorda lui stesso) il suo talento per la finanza non servirebbe a nulla in una società di cacciatori e raccoglitori, in cui sarebbe con ogni probabilità un peso morto perché non saprebbe cacciare, pescare, o fare alcunché di utile. Quindi ... non si deve pensare che le disuguaglianze tra le persone siano completamente naturali: è la società che mette in luce alcune differenze e ne occulta altre.

Questo significa anche che il programma del capoverso dell'Articolo 3 della Costituzione Italiana ("È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese." – vedi [6]) è possibile e ragionevole, in quanto rifiuta l’assunto che le disuguaglianze tra le persone siano esclusivamente opera della natura, e ritiene possibile correggere l'organizzazione economica e sociale in modo da smussarle, perlomeno.

Qui si va un po' oltre il grande pensatore socialista Léon Blum, e si evita la fallacia naturalistica.

Uno si potrebbe chiedere se solo gli ebrei rischiano di cadervi, e la risposta è ovviamente “no”.

Tariq Ramadan (ne ho già parlato nello stesso post in cui citavo AJ Heschel) ci si butta a pesce, ritenendo che l’Universo sia un Libro con la stessa dignità di quello rivelato (il Corano); l’apologetica cristiana fa spesso ricorso alla nozione di “legge naturale”, che non è altro che la fallacia naturalistica elevata a sistema.

L’ebraismo è l’unico monoteismo che io conosca che non imponga di cadere in questa fallacia; per questo ho ritenuto utile evidenziare chi (dei pochi autori che conosco) vi cade comunque e chi no.

Negli altri due monoteismi la lista di chi non vi cade finisce con il coincidere con quella degli “eretici” o dei “liberi pensatori”.

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