martedì 25 agosto 2009

Una (triste) barzelletta di Amos Luzzatto

Ho quasi finito il libro di Amos Luzzatto "Conta e racconta. Memorie di un ebreo di sinistra" (Mursia 2008); il libro è molto interessante, ed il sottotitolo "Memorie ..." è molto appropriato, in quanto mi pare più una raccolta di "materiali per una biografia" che una biografia compiuta - non facile da scrivere in prima persona.

Nel libro, a pagina 153, Amos Luzzatto racconta una barzelletta che aveva già raccontato in URSS nel 1968, e che fa molto pensare.

(quote)

La Radio Televisione sovietica ha bandito un concorso a premi per gli ascoltatori. (...) Una sola domanda: qual è l'organo femminile più importante? Dopo un mese la commissione degli accademici dell'URSS ha esaminato un milione di risposte e ne ha scartate 999.999, tutte sbagliate (dicevano tutte la stessa cosa). Ha poi conferito il premio al compagno Ivan Semjonov, eroe dell'Unione Sovietica, noto stakhanovista, membro del Comitato di Fabbrica di ***, iscritto al Partito dal 1941, il quale ha così risposto: "L'organo femminile più importante è la Sezione femminile del Comitato centrale del Partito Comunista dell'URSS".

(unquote)

La barzelletta fa pensare perché, se nella Mosca del 1968 era trasparente la critica ad un partito che non riusciva a capire a che cosa pensava (!) il popolo, e di cosa avesse bisogno (!!!), nell'Italia del 2009 la situazione è completamente diversa.

Nell'Italia di oggi un simile concorso darebbe gli stessi risultati, ma non perché gli italiani siano particolarmente allupati, bensì perché per molti anni la TV gli ha insegnato a pensare solo a quello.

L'URSS crollò perché il PCUS non capiva i bisogni del popolo, l'Italia potrebbe crollare perché non si è fatto nulla per elevare i bisogni del popolo, e lo si è educato invece ad abbassarli.

Berlusconi è ciò che avrebbero in comune i 999.999 "sconfitti" del concorso.

Gay e lesbiche in psicoterapia

Gli ultimi eventi in Israele ed Italia (e le stupidaggini scritte da bigotti di varie religioni, tra cui quest'articolo) mi hanno indotto a ripescare questa mia vecchia recensione del libro "Gay e lesbiche in psicoterapia" (Raffaello Cortina Editore), scritto con lo scopo di chiarire le idee e sfatare molti pregiudizi tuttora diffusi tra i professionisti della salute mentale.

Il primo dei pregiudizi è che l'omosessualità sia la conseguenza dell'essere cresciuti in una famiglia disfunzionale; in realtà, da numerose inchieste svolte, risulta che le famiglie in cui cresce una persona omosessuale non appaiono migliori o peggiori di quelle in cui cresce una persona eterosessuale.

Non si sa se ci sia di mezzo una predisposizione biologica; nel libro si cita il caso di una persona che aveva sviluppato un orientamento omosessuale in conseguenza di un abuso infantile, orientamento che è stato messo in forse da una terapia volta ad affrontare le conseguenze di quell'abuso (non a cambiare l'orientamento sessuale del soggetto!), ma sembra si tratti di casi non troppo frequenti, e che il clinico attento può distinguere da quello di chi ha un orientamento omosessuale più genuino.

Altro pregiudizio è che gli omosessuali siano psichicamente meno sani e meno adeguati degli altri, e soprattutto, meno capaci di stabilire rapporti umani profondi ed autentici. Anche questo pregiudizio è stato smentito; ciò di cui gli omosessuali soffrono in misura maggiore degli eterosessuali è dovuto alle conseguenze della stigmatizzazione sociale.

Ulteriore pregiudizio, corollario del precedente, è che gli omosessuali siano incapaci di essere buoni genitori; invece, i loro figli, biologici od adottivi, e comunque concepiti, non appaiono migliori o peggiori, o più propensi all'omosessualità, dei figli di genitori eterosessuali.

Se nel 1973 l'Associazione Psichiatrica Americana ha espunto l'omosessualità dal novero delle malattie psichiatriche, non è stato per "pressioni politiche", ma perché le ricerche fatte fino ad allora, e confermate finora, mostravano che l'omosessualità non aveva nessuna delle caratteristiche delle sindromi psichiatriche: non coarta né l'intelletto né l'affettività, non impedisce di avere rapporti sociali e di lavoro soddisfacenti.

Vi traduco questo documento dell'Associazione Psichiatrica Americana:

(quote)

Appoggio al riconoscimento legale del matrimonio civile tra persone del medesimo sesso

PRESA DI POSIZIONE

Approvata dall'Assemblea nel Maggio 2005

Approvata dal Consiglio d'Amministrazione nel Luglio 2005

"I documenti politici sono approvati dall'Assemblea e dal Consiglio d'Amministrazione dell'APA ... Sono prese di posizione che definiscono la politica ufficiale dell'APA su argomenti specifici" (Manuale operativo APA).

Come medici che di frequente vagliano l'impatto delle relazioni sociali e familiari sullo sviluppo infantile, e l'abilità degli adulti e dei bambini di affrontare lo stress e la malattia mentale, gli psichiatri notano l'invariabilmente positiva influenza di un rapporto di coppia stabile tra gli adulti sulla salute di tutti i membri della famiglia. I rapporti familiari e coniugali sostenuti ed impegnati sono le pietre angolari della nostra rete di sostegno sociale quando affrontiamo le sfide della vita, tra cui la malattia e la perdita. C'è ampia prova che un sostegno coniugale e familiare a lungo termine migliori la salute fisica e mentale a tutti gli stadi di sviluppo.

Questa presa di posizione riguarda il riconoscimento legale del matrimonio civile tra persone dello stesso sesso, non del matrimonio religioso, e non si occupa dell'opinione di una qualsiasi comunità religiosa sul matrimonio tra persone dello stesso sesso.

I rapporti eterosessuali hanno una cornice legale in cui porsi grazie al matrimonio civile, che dà una forza stabilizzatrice. Negli Stati Uniti, con l'eccezione del Massachussets, alle coppie omosessuali sono ora negati gli importanti benefici giuridici, i diritti e le responsabilità del matrimonio civile. Pertanto le coppie omosessuali subiscono diversi tipi di discriminazione sancita dallo stato che può nuocere alla stabilità della loro relazione ed alla loro salute mentale.

I figli di genitori gay e lesbici non coniugati non hanno la stessa protezione che il matrimonio civile offre ai figli di coppie eterosessuali. I genitori adottivi gay e lesbici affrontano ulteriori ostacoli. Una persona che sia lesbica o gay viene spesso presunta inetta all'adozione in modo assoluto in molte giurisdizioni degli Stati Uniti. Inoltre, quando delle coppie non sposate compiono un'adozione, normalmente, solo uno dei genitori riceve dei diritti riconosciuti dalla legge, mentre l'altro genitore non ha alcun ruolo giuridico. E questi ostacoli ci sono sebbene nessuna ricerca abbia mostrato che i figli adottati da persone lesbiche o gay siano meno ben adattati di coloro che sono allevati all'interno di relazioni eterosessuali.

Con l'invecchiamento della popolazione, il diniego del riconoscimento legale del matrimonio civile ha delle conseguenze spiacevoli per sempre più adulti anziani impegnati in relazioni omosessuali, che affrontano i problemi sanitari e finanziari dovuti all'età. Escludere questi adulti dalla protezione che il matrimonio civile offre in termini di diritti al coniuge superstite e di eredità, benefici finanziari e riconoscimento legale come coppia all'interno delle organizzazioni sanitarie accresce il peso psicologico dell'invecchiamento.

L'Associazione Psichiatrica Americana ha nel corso della sua storia sostenuto l'equità, la parità e la non discriminazione nelle questioni che hanno un'influenza sulla salute mentale. L'APA ha sostenuto inoltre le unioni civili tra persone del medesimo sesso ed il diritto delle coppie del medesimo sesso ad adottare ed ad allevare insieme i figli. Questo è perché l'APA ha un interesse di lunga data nei diritti civili e nelle questioni giuridiche che influenzano la salute mentale, nonché un codice deontologico che sostiene e rispetta la dignità umana. Educare il pubblico sui rapporti gay e lesbici e sostenere gli sforzi per stabilire il riconoscimento legale del matrimonio civile omosessuale è coerente con il sostegno che l'Associazione offre ai gruppi di minoranza.

Il matrimonio civile è associato con un unico insieme di benefici che forniscono protezione economica e legale agli adulti impegnati in una relazione ed ai loro figli. L'eguale accesso all'istituto del matrimonio civile è coerente con l'opposizione dell'APA alle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale.

Pertanto sia sancito che:

"Nell'interesse del mantenere e promuovere la salute mentale, l'Associazione Psichiatrica Americana sostiene il riconoscimento legale del matrimonio civile omosessuale con tutti i diritti, benefici e responsabilità conferiti al matrimonio civile, e si oppone alle restrizioni ai medesimi diritti, benefici e responsabilità".

(unquote)

Vi dispenso dal lungo elenco di documenti precedenti sul medesimo tema - trovate bibliografia e link nel PDF originale che vi ho tradotto.

Non c'è modo quindi di giustificare scientificamente opinioni omofobe; ho accennato prima alle opinioni di alcuni bigotti, e se mi permettete di sparare alla Croce Rossa, ve ne cito una, anche se risale al 2007.

Secondo la pagina 9 di questo documento, il Cardinale Ruini ha detto che:

(quote)

Nel pieno e doveroso rispetto per la dignità ed i diritti di ogni persona, va però osservato che una simile rivendicazione [il riconoscimento legale delle unioni di fatto tra persone del medesimo sesso, NdR] contrasta con fondamentali dati antropologici e in particolare con la non esistenza del bene della generazione dei figli, che è la ragione specifica del riconoscimento sociale del matrimonio.

(unquote)

Inoltre, sempre nella stessa pagina, è scritto:

(quote)

Il riconoscimento legale delle unioni omosessuali toglie poi "ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana", con un deprezzamento della corporeità in conseguenza del quale l'uomo, "volendo emanciparsi dal suo corpo ... finisce per distruggere se stesso".

(unquote)

Esaminiamo la prima citazione, confrontandola con la presa di posizione dell'APA che vi ho tradotto.

Il Cardinal Ruini, a nome della Chiesa cattolica, mostra di ritenere che il matrimonio debba essere riconosciuto socialmente soltanto per i benefici che porta alla società; mentre l'APA sostiene che il riconoscimento sociale apporta notevoli benefici anche ai coniugi ed alla prole, e per questo tutte le coppie debbono poterlo ricevere.

Se solo questo fosse il dissenso, un dissenso tra un orientamento individualista ed uno collettivista, sarebbe un dissenso radicale ma non conflittuale, in quanto è evidente che il matrimonio civile beneficia sia gli interessati che la società - una differenza di accento, insomma.

Ma quando il Cardinal Ruini allude a "fondamentali dati antropologici", lui si fa portatore di una concezione della natura umana, e delle esigenze delle persone, che è in conflitto con quella che l'APA esprime a nome della migliore scienza psicologica e medica attualmente disponibile.

L'APA si guarda bene dall'entrare in conflitto con le comunità religiose scrutando i loro dogmi al microscopio, ma il Cardinal Ruini, proponendo al legislatore italiano di fare propria la sua visione, scatena lui il conflitto imponendogli di scegliere tra la fede e la scienza.

Non credo che sia necessario dirvi la mia scelta, e che credo sia quella che dovrebbe far propria uno stato laico.

Nella seconda citazione Ruini (o colui che cita a sua volta, alias B16) fa molta confusione. Vediamo di chiarirla cominciando da queste definizioni:

- Sesso cromosomico: l'assetto dei cromosomi sessuali;

- Sesso anatomico: l'avere un apparato riproduttivo maschile o femminile (non sempre il sesso anatomico e quello cromosomico coincidono);

- Genere: rappresentazione psicologica che una persona si fa della mascolinità e della femminilità; come in molti costrutti psicologici, l'educazione e la cultura hanno una parte non inferiore a quella del dato anatomico;

- Ruolo di genere: l'insieme dei comportamenti ritenuti consoni al genere maschile o femminile;

- Ruolo sessuale: l'insieme dei comportamenti che ognuno dei due generi mette in atto ai fini del corteggiamento, della costruzione della coppia, del rapporto sessuale, dell'eventuale riproduzione ed accudimento della prole;

- Identità di genere: ritenersi appartenenti al genere maschile o femminile;

- Disturbo dell'identità di genere: non coincidenza tra l'identità di genere ed il sesso anatomico;

- Orientamento sessuale: sentirsi attratti verso persone di un sesso, dell'altro o di entrambi; esso è indipendente dall'identità di genere.

In tutte le persone occorre mantenere distinti questi concetti, ed il perché lo si capisce se si pensa che (mi scuso per la brutalità) ci sono meno differenze tra gli organi sessuali delle persone di quante ce ne siano nelle loro concezioni del genere maschile o femminile.

Non esistono quasi persone che, compiuti i diciotto mesi di vita, ignorino le differenze di genere e di sesso e la loro importanza - le poche che le negano ricevono una diagnosi psichiatrica abbastanza infausta, e non val la pena discuterne qui.

Se Ruini e B16 temono che il riconoscimento legale delle unioni omosessuali faccia perdere coscienza di queste differenze, possono tranquillizzarsi: è come temere che una persona possa dimenticarsi di respirare!

Oltretutto, contrariamente a quello che molti pensano, i gay hanno un'identità di genere maschile e le lesbiche un'identità di genere femminile; chi invece ha un'identità di genere contrastante con il proprio sesso anatomico non viene ritenuto omosessuale, ma affetto da "disturbo di identità di genere", quello che una volta veniva chiamato "transessualismo".

Ed infatti la possibilità di allineare il proprio sesso alla propria identità di genere viene concepita, dai terapeuti e dal legislatore, non come una facoltà (come è quella di vivere la propria sessualità in conformità al proprio orientamento), ma come una terapia per i casi estremi di questo disturbo.

Non sono gli omosessuali, la loro presenza, ed i riconoscimenti sociali alla loro condizione ad indebolire le identità di genere, così come non le ha indebolite l'ingresso delle donne del mondo del lavoro e la concessione del diritto di voto; e non sono certo i gay e le lesbiche ad ignorare quanto sia importante la corporeità.

Quasi tutte le persone che hanno questi timori (e temo sia anche il caso di Ruini e B16) vorrebbero vivere in un mondo ideale in cui genere, sesso ed orientamento sessuale sono legati molto più strettamente di quanto non accada in realtà, ed in cui le persone vivano i loro ruoli sociali in modo molto più stereotipico. Per nostra fortuna, non è così.

Tra parentesi, il libro che ho citato dedica un lungo e feroce capitolo contro i terapeuti che si propongono di cambiare l'orientamento sessuale delle persone. La cosa più gentile che viene scritta è che le teorie di questi terapeuti sono contraddittorie; meno gentile è insistere sul fatto che nessuna ricerca seria ha confermato l'efficacia delle terapie proposte; micidiale è dire che queste terapie violano i codici deontologici che impongono di non nuocere al paziente anche se è lui a chiederlo :-)

Contro "L'etica della memoria" di Avishai Margalit

Un paio d'anni fa ho letto il libro di Avishai Margalit L'etica della memoria (Il Mulino), in cui l'autore distingue tra "relazioni spesse" e "relazioni sottili", e tra "etica" e "morale".

Una "relazione sottile" è una relazione interpersonale motivata esclusivamente dall'essere i partecipanti esseri umani, mentre una "relazione spessa" è una relazione in cui delle persone condividono qualcosa di più.

Le relazioni "spesse" presumono l'impiego della memoria, che consente di ricordare ciò che ogni persona significa per l'altra, ed il bene (od il male, non voglia il cielo) che si sono scambiati; invece una relazione "sottile" non la esige, in quanto basta il volto dell'altro ad elicitare la corretta risposta dall'altro.

Margalit distingue tra "etica" e "morale": l'etica regolerebbe il comportamento all'interno delle relazioni "spesse", mentre la "morale" all'interno delle relazioni sottili; per cui, ad esempio, l'etica vieterebbe di "tradire" il partner di una relazione spessa, mentre la morale di violare la dignità altrui.

All'interno di una relazione "spessa" la morale costituisce il minimo etico: un marito, come non può picchiare uno sconosciuto, non può picchiare la moglie - ma sarebbe ben triste un matrimonio in cui marito e moglie si limitassero a rispettarsi come due estranei che camminano sullo stesso marciapiedi.

Di contro, l'etica non consente di violare la morale: il nepotismo, ovvero il favorire un familiare chiaramente meno dotato di un estraneo, non rispetta la morale, ed è uno degli elementi di quello che fu chiamato "familismo amorale" da Edward Banfield.

Questa distinzione di Margalit tra "etica delle relazioni spesse" e "morale delle relazioni sottili" è interessante, ma rozza, ed il suo autore ne trae conclusioni che non approvo.

La rozzezza della distinzione nasce dal fatto che lui non tiene conto del fatto che esistono relazioni in cui la memoria è importante (tant'è vero che in alcuni casi la legge impone di conservare i documenti che incarnano questa memoria, come le cartelle cliniche e le scritture contabili), ma a cui non sono associati sentimenti particolari: la relazione del paziente con il suo medico, del cliente con la sua banca, dell'utente con la società che gli somministra acqua, luce o gas, dell'abbonato con il teatro o la compagnia di trasporti, del lavoratore col datore di lavoro, del cliente col fornitore, del socio con la sua associazione, ecc.

Sono estremamente rare le relazioni umane in cui la memoria non ha alcuna importanza, e sono relazioni occasionali che si cerca sempre di trasformare in relazioni continuative, ovvero in cui è indispensabile la memoria. Per esempio, al cliente che mette per la prima volta piede in un supermercato si vende sì la merce, ma di solito gli si offre anche una carta di fidelizzazione - ovvero di memorizzare i suoi dati in un computer, nonché i suoi acquisti - in cambio di alcuni vantaggi significativi.

Quindi ... vacilla il paragone proposto da Margalit tra "relazioni spesse" e particolarismo, "relazioni sottili" ed universalismo.

Mi spiego meglio: Margalit dice che il cristianesimo cerca di unire l'umanità in una comunità unita da un'unica grande "relazione spessa", in cui l'essere umani è sufficiente per creare una memoria condivisa ed attivare sentimenti di mutuo aiuto; di contro, l'ebraismo invece vuol mantenere la differenza tra la "relazione spessa" all'interno del _klal Yisrael = collettività ebraica_, e la "relazione sottile" con il resto dell'umanità.

Margalit, pur essendo un ebreo "laico", riprende l'argomentazione dell'apologetica ebraica tradizionale secondo cui l'obbiettivo del cristianesimo è una pericolosa illusione, un voler realizzare l'era messianica in un mondo che ad essa non è preparato.

In realtà, le relazioni in cui la memoria è importante stanno diventando tanto pervasive che stanno nascendo delle leggi sulla privacy per impedire a chi detiene questa memoria di condividerla con terzi (magari in un altro continente), consentendo loro di entrare in una "relazione spessa" con migliaia di persone - che non la desiderano.

Questo solo fatto smentisce l'opinione di Margalit secondo cui è impossibile una condivisione della memoria a livello mondiale: è invece un fenomeno tanto possibile e naturale che bisogna contrastarlo, o meglio, impedire che faccia danno!

Margalit collega la memoria alla cura: lo scopo della memoria è l'aiutare il partner di una relazione spessa a prendersi cura dell'altro, in quanto consente di identificare i meriti ed i bisogni dell'altro. Per Margalit creare una "relazione spessa" che includa l'intera umanità è impossibile, perché è realisticamente impossibile prendersi cura di tutte le persone.

Ma nemmeno in una piccola comunità di poche persone tutti si prendono cura direttamente di tutti: ci si spartisce i compiti; chi è più bravo a prendersi cura lo fa, e chi è meno bravo lavora per consentire ai più bravi di dedicarsi interamente alla cura di chi ne ha bisogno.

È lo stesso Margalit a citare l'argomento della divisione del lavoro, a cui ricorrono anche famiglie di pochi nipoti che devono accudire i loro nonni; vi ricorrono certamente i circa 13 milioni di ebrei del mondo per aiutarsi a vicenda, e vi potrebbe tranquillamente ricorrere l'umanità intera se solo decidesse di farlo - sarebbe il lato positivo della globalizzazione.

Quando si parla di "memoria" ed "ebrei", di solito si parla anche di "Olocausto". Margalit ritiene che, poiché una relazione "spessa", ovvero in cui conti la memoria, non possa estendersi all'umanità intera, ma limitarsi soltanto a collettività limitate, la memoria dell'Olocausto non possa avere valore universale.

Secondo lui, essa può riguardare soltanto le collettività coinvolte nell'evento in quanto da esse provenivano le vittime od i carnefici (oppure i salvatori - Margalit di loro si è scordato).

Universalizzare la memoria dell'Olocausto o di altre atrocità sociali per lui è vuoto di significato e controproducente, anche perché le atrocità compiute dal cosiddetto "Occidente" sono meglio documentate di quelle commesse dagli altri, e quindi si finirebbe col costringere l'Occidente a subire un confronto morale da cui uscirebbe sempre perdente.

Margalit qui dimentica le analisi di chi ha mostrato come l'Olocausto sia stato reso possibile proprio dalla modernità, che ha fornito le teorie e le pratiche indispensabili ad esso, e pertanto è inevitabile che l'Occidente industrializzato appaia l'unico possibile colpevole di un simile misfatto.

Inoltre, Margalit giunge a conclusioni analoghe a quelle di alcune frange dell'ebraismo (a cui non appartiene certo il direttore dello Yad Vashem, e vi spiegherò poi perché) che tendono a ritenere la Shoah un problema esclusivamente ebraico, una delle conseguenze paradossali dell'Elezione d'Israele.

Per queste frange, essendo gli ebrei ontologicamente diversi dagli altri popoli, l'odio che gli altri popoli nutrono nei loro confronti è incomprensibile con categorie umane ed incomparabile con altri odi tra gruppi diversi. Non ha senso quindi che le vittime ebree della Shoah siano commemorate da non-ebrei, perché questi non hanno niente in comune con esse.

Quest'analisi ha il difetto di bloccare l'indagine scientifica, la quale ha invece mostrato che la Shoah è paragonabile ai genocidi degli armeni, degli zingari (tentato anche questo dai nazisti), dei tutsi in Ruanda, ed a quello che sta accadendo in Darfur (che ha suscitato l'indignazione anche del direttore dello Yad Vashem) - e tutte queste cose sono alcune delle possibili estreme conseguenze della preferenza per il proprio gruppo sociale, che ha per corollario il disprezzare gli altri gruppi sociali.

Quindi, la memoria dell'Olocausto e di altri genocidi ha significato universale: tutti possono essere indotti a partecipare ad un genocidio, indipendentemente dai precedenti rapporti con le vittime designate. E questi eventi sono lezioni che non devono ripetersi.

Quando si insegna alle persone di distinguere tra la "relazione spessa" con il proprio collettivo, e la "relazione sottile" con il resto dell'umanità, il risultato non è creare delle persone che sanno essere sia "leali" (verso il collettivo) che "umane", ma creare una situazione di cui vi parlo dopo avervi tradotto quest'articolo:

(quote)

Un esperto: i giovani ebrei americani pensano che identificarsi col loro gruppo etnico sia "non kasher"

Il collegamento dei giovani ebrei americani con il popolo ebraico sta sempre declinando poiché sono indotti a credere che identificarsi con il loro gruppo etnico sia "non kasher", ha detto uno dei maggiori esperti di storia ebraica americana questa settimana [nei primi giorni del 2007, ndr].

"Nei loro campus universitari, identificarsi con gli Ebrei come popolo, il che non è la stessa cosa che identificarsi con l'Ebraismo, non è considerato kasher", ha detto il prof. Jack Wertheimer, che funge anche da rettore del Jewish Theological Center di New York. "Solo le persone di colore sono autorizzate ad identificarsi con i loro compagni di etnia, mentre gli americani bianchi non sono autorizzati a partecipare a questo tipo di comportamento".

Parlando questa settimana ad una conferenza all'Università Ebraica [di Gerusalemme, ndr], Wertheimer ha detto che gli Ebrei "stanno gravitando verso l'universalismo a causa del loro disagio verso il particolarismo". Ed ha precisato che le organizzazioni ebraiche stanno diventando sempre più complici di questo processo, citando il cambiamento dello slogan delle United Jewish Communities (UJC), che è pian piano divenuto da "Noi siamo una sola cosa" a "Vivete con generosità" - il loro nuovo motto non indica chi deve ricevere il frutto della generosità dei filantropi.

"Le organizzazioni ebraiche, invece di promuovere l'idea del prendersi cura del popolo ebraico, hanno attenuato quest'idea, forse perché loro conoscono il loro mercato e sanno quello che si può vendervi", ha detto.

Wertheimer si è inoltre lamentato dei tentativi di universalizzare l'Ebraismo, cosicché valori come tiqqun 'olam (emendare il mondo) e kol Yisrael 'arevim zeh lazeh (tutto Israele garantisce l'uno per l'altro) non si concentrano più sulla comunità ebraica. Fare pressione per le vittime del Darfur o pulire i fiumi americani, ha detto, hanno ora la precedenza sul sostegno alle istituzioni comunitarie ebraiche perché c'è ora una "diminuzione dell'interesse" per i propri compagni ebrei.

Wertheimer stava parlando ad una sessione sull'identità ebraica ed il multiculturalismo, parte di una conferenza di tre giorni all'Università Ebraica in onore del Prof. Gideon Shimoni, che per motivi di età ha recentemente lasciato l'Istituto Avraham Harman sull'Ebraismo Contemporaneo.


Nella stessa sessione, il Prof. Michael Brown dell'Università di York a Toronto ha parlato a proposito della comunità ebraica canadese e dell'impatto del multiculturalismo, che è divenuto nel 1971 politica ufficiale del governo e da allora ha indebolito il senso di lealtà di gruppo tra alcuni ebrei del paese.

"È possibile", ha detto Brown, "che alla fine il multiculturalismo sarà servito ad indebolire l'autonomia e l'unicità del gruppo ebraico in Canada".

(unquote)

La cosa più interessante dal mio punto di vista è questo punto del ragionamento del Prof. Wertheimer: il fatto che l'UJC non dica più agli ebrei di beneficiare esclusivamente le organizzazioni filantropiche ebraiche (che comunque, grazie ai loro meriti, continuano a raccogliere notevoli somme, e spesso le donano anche a non-ebrei), ma di essere generosi in generale verso chi ne ha più bisogno viene considerato non un dare esempio di "moralità", ovvero di dedizione anche a coloro a cui si è legati solo da "relazioni sottili", ma come l'espressione di un disagio nei confronti del collettivo ebraico.

Allo stesso modo, fare pressione per il Darfur oppure impegnarsi per l'ambiente non è visto come una meritoria presa di coscienza che tutti gli uomini sono creati a immagine di D%o o come accettazione della responsabilità dell'uomo verso la natura, corollario della prima biblica mitzwah "Pru urevu" (crescete e moltiplicatevi): vengono ritenuti risorse sottratte alle esigenze del collettivo ebraico.

E questi sono i ragionamenti del Chief Academic Officer del Jewish Theological Seminary di New York, una delle migliori scuole ebraiche del mondo. Questi smentisce tranquillamente Avishai Margalit, il quale non si rende conto che ufficializzare la distinzione fra "etica delle relazioni spesse" e "morale delle relazioni sottili" significa autorizzare i capi di un collettivo, qualunque esso sia (gli ebrei in questo non sono peggiori degli altri), ad interpretare ogni impegno nel campo delle "relazioni sottili" come privazione di risorse verso coloro a cui si è legati da una "relazione spessa".

La conseguenza di queste pressioni è che le "relazioni sottili" si assottigliano e spezzano, e l'unica relazione che veramente conta rimane quella "spessa" - supposto che la distinzione tra "relazioni sottili" e "spesse" abbia senso in un mondo come il nostro, e non sia semplicemente un otre nuovo per il vino vecchio.

Un'ultima cosa cosa che mi permetto di osservare del libro di Avishai Margalit è che la sua contrapposizione tra il "progetto cristiano" ed il "progetto ebraico" non solo si basa su una contrapposizione tra "relazioni sottili" e "relazioni spesse" che secondo me è sbagliata, ma ignora che molti ebrei sono fortemente universalisti (non è solo il Prof. Jack Wertheimer a lagnarsene - e molti altri ebrei, ovviamente, se ne rallegrano), e che molti cristiani non sono capaci di salutare quelli della loro stessa parrocchia che militano in movimenti religiosi su posizioni opposte al proprio.

Sarebbe stato meglio designare le due posizioni come "progetto Ben Azzai" e "progetto Maimonide", prendendo così atto che questi "progetti" hanno i loro sostenitori in ogni gruppo umano.

Ben Azzai non solo riassunse la Torah nel versetto di Genesi 5:1, che dice: "Questo è il libro delle generazioni dell'uomo. Nel giorno in cui D%o creò l'uomo, ad immagine di D%o lo creò", ma interpretava Levitico 19:18, che dice: "Ed amerai il prossimo tuo come te stesso", nel senso che il "prossimo" di cui qui si parla è l'essere umano in generale.

Maimonide invece - e l'halakhah è dalla sua parte - sostiene che il "prossimo" in questione è solo l'ebreo. Si fa la carità ai non-ebrei, ma solo per motivi di superiore opportunità, non perché esista un precetto biblico in merito.

martedì 18 agosto 2009

Un memo di Theodor Meron

Dalla pagina 99, inizio del Capitolo 4, del libro The Accidental Empire di Gershom Gorenberg; prima vi riporto il testo in inglese, poi la traduzione.

(quote)

Jerusalem, 13 Elul, 5727
September 18, 1967


Top Secret

To: Mr. Adi Yafeh, Political Secretary of the Prime Minister
From: Legal Counsel of the Foreign Ministry
Re: Settlement in the Administered Territories

As per your request ... I hereby provide you a copy of my memorandum of September 14, 1967, which I presented to the Foreign Minister. My conclusion is that civilian settlement in the administered territories contravenes the explicit provisions of the Fourth Geneva Convention.

Sincerely,
T. Meron

(unquote)

Traduciamo:

(quote)

Gerusalemme, 13 Elul, 5727
18 Settembre 1967


Top Secret

A: Sig. Adi Yafeh, Segretario politico del Primo Ministro
Da: Consulente giuridico del Ministero degli Esteri
Re: Insediamento nei territori amministrati

Come avete chiesto ... vi accludo copia del mio memo del 14 Settembre 1967, che ho presentato al Ministro degli Esteri. La mia conclusione è che l'insediamento di civili nei territori amministrati va contro l'esplicito dettato della Quarta Convenzione di Ginevra.

Distinti saluti,
T. Meron

Come si premura di informarci Gershom Gorenberg, Theodor Meron, l'autore del memo e della lettera citata, è nato in Polonia nel 1930, ha passato quattro anni in un campo di lavoro nazista a Czestochowa, dopo aver fatto 'aliyah ha ricuperato gli anni di scuola persi conseguendo una laurea in legge all'Università ebraica, un dottorato ad Harvard, e (ma questo dettaglio l'ho saputo da Wikipedia) un diploma in diritto internazionale pubblico a Cambridge.


Cos'erano i crimini di guerra lui lo imparò sulla sua pelle da ragazzo; e dopo aver scritto quel parere legale avrebbe lavorato per altri dieci anni al Ministero degli Esteri israeliano, per diventare poi professore di diritto all'Università di New York, consulente per il diritto internazionale al Dipartimento di Stato USA tra il 2000 ed il 2001, per diventare poi tra il 2002 ed il 2005 presidente del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia. Ora è membro della Corte d'Appello del Tribunale Penale per il Ruanda - e nel 2009 è stato eletto all'Accademia Americana di Arti e Scienze.


Non era uno scribacchino l'autore di quel parere legale. Quando l'altro ieri ho letto che alcuni ministri israeliani vogliono rendere Homesh (un avamposto evacuato da Sharon) un insediamento "legale", non ho potuto fare a meno di ridere.


Ciao.

martedì 4 agosto 2009

Leo Strauss Neged/Versus Tariq Ramadan

[1] http://www.bol.it/libri/riforma-radicale.-Islam/Tariq-Ramadan/ea978881702491/

[2] http://www.bol.it/libri/Essere-musulmano-europeo/Tariq-Ramadan/ea978888137040/

[3] http://www.archive.org/download/HeideggerAndStraussOnNietzscheAndModernity/Strauss-ModernitysThreeWaves.pdf

[4] http://www.bol.it/libri/Israele-eco-di-eternita/Abraham-Joshua-Heschel/ea978883990929/

Ho la pessima abitudine di recensire i libri prima di averli terminati, e quindi queste osservazioni sono solo provvisorie.

Tariq Ramadan in [1] riprende ed approfondisce il discorso già esposto in [2], e che si può riassumere in questo brano di [1], pagina 142:

(quote)

Darsi i mezzi di una riforma del cambiamento, di un'etica anticipatrice che accompagna e integra l'evoluzione dei saperi, richiede una revisione del dispositivo classico dei fondamenti del diritto e della giurisprudenza. Il primo prerequisito consiste nello stabilire chiaramente che essi non sono solo le fonti scritturali, ma anche il Libro dell'Universo e, insieme, tutte le scienze interessate a studiarlo e a migliorare l'azione degli esseri umani nei diversi ambiti e nei particolari contesti sociali. Quindi la classificazione che si limitava a stabilire una lista delle fonti del diritto (Corano, Sunna, ijma' [consenso], qiyas [analogia], 'urf [consuetudine], istihsan [preferenza giuridica], istislah [interesse pubblico], ecc.) attribuendo un posto quasi esclusivo ai rapporti con i testi (dato che il riferimento al costume e all'interesse comune erano considerati soprattutto dei supporti alla comprensione dei testi stessi), secondo noi deve essere rivista e riconsiderata alla luce delle moderne realtà. Su un piano prettamente teorico, e fondamentale, abbiamo visto che l'Universo si impone all'intelligenza come un Libro, con delle regole, delle leggi, dei principi, una semantica, una grammatica e dei segni specifici e che, di fatto, come spesso suggerito dalla stessa Rivelazione, è necessario accostarsi ai due Libri in maniera speculare e complementare.

(unquote)

Non ho cominciato a leggere Tariq Ramadan per criticarlo, però una prima critica che gli si può rivolgere è che, se lui ha scritto due libri a distanza di nove anni ([1] è del 2008, [2] del 1999) che denunziano la medesima situazione con argomenti molto simili e proponendo i medesimi rimedi, vuol dire che è assai improbabile che il mondo islamico si risollevi nell'arco di una generazione - con mio gran dispiacere.

Tariq Ramadan meriterebbe la cittadinanza italiana, visto che sembra destinato a condividere il destino dei molti intellettuali italiani che compiangono lo stato miserando del proprio paese senza poterci far nulla.

La seconda e più radicale critica si ispira al politologo ebreo Leo Strauss, di cui potete leggere in [3] il suo fondamentale saggio "Three Waves of Modernity".

Liofilizzando, Strauss dice che la filosofia (politica) moderna è iniziata con Machiavelli, il quale abbandona il presupposto del pensiero politico antico secondo cui l'uomo fa parte di un ordine naturale immutabile e giusto.

Basta dir questo per far capire che Leo Strauss classificherebbe il pensiero di Tariq Ramadan come "antico". Potremmo dire di più: l'obbiettivo di Tariq Ramadan si ritrova già, almeno a giudicare dall'Enciclopedia Garzanti della Filosofia, edizione 1983, nella Scolastica, sia europea che araba, che si era posta l'obbiettivo di superare la cesura tra le scienze del divino e quelle del secolo (rappresentate, in quell'epoca, da Arisototele).

Non mi pare una gran dimostrazione di modernità voler riprendere e completare il lavoro dei filosofi/falasifa del 12°-15° Secolo EV - e, se veramente è ciò di cui ha bisogno il mondo islamico, povero lui!

Oltretutto, Tariq Ramadan non si è probabilmente reso conto che il suo progetto si scontra con la cosiddetta "Legge di Hume": da una proposizione col verbo "essere" non si può dedurre una col verbo "dovere".

In una parola: dallo studio delle scienze non si possono dedurre principi etici. Il primo dei due Libri della Rivelazione secondo Tariq Ramadan, quello dell'Universo, si rivela quindi muto per il moralista ed il giurista.

Se Tariq Ramadan è convinto (insieme con alcuni filosofi morali occidentali) che è possibile smontare la "Ghigliottina di Hume", gli conviene farlo prima di portare avanti il suo progetto.

Vorrei concludere con una piccola digressione; citiamo Leo Strauss (terzo foglio di [3], pagina 86 del libro fotocopiato):

(quote)

Per giudicare correttamente le dottrine di Machiavelli, dobbiamo renderci conto che nel punto cruciale sono d'accordo la filosofia classica e la Bibbia, Atene e Gerusalemme, ad onta delle profonde differenze ed anche dell'antagonismo tra Atene e Gerusalemme. Secondo la Bibbia, l'uomo è creato ad immagine di Dio; riceve la sovranità su tutte le creature terrestri, ma non su tutto il creato; viene messo in un giardino perché lo lavori e lo custodisca; viene messo al suo posto; la rettitudine è l'obbedienza all'ordine divinamente costituito, così come nel pensiero classico la giustizia è l'adeguarsi all'ordine naturale; al riconoscimento del caso elusivo corrisponde il riconoscimento dell'imperscrutabile provvidenza.

(unquote)

Questo brano va confrontato con quest'altro a pagina 114 di [4]:

(quote)

Forse il significato del peccato del primo uomo consiste nel fatto che egli si è rivolto alla natura per conoscere il bene e il male. Ma il destino dell'uomo è imparare dalla storia il significato del bene e del male.

(unquote)

Se Abraham Joshua Heschel ha ragione, il pensiero ebraico non può essere considerato "antico" in nessuna sua fase, perché non è dalla natura che gli ebrei hanno voluto imparare a vivere.

Non so se Heschel e Strauss abbiano mai discusso il punto, e chi abbia prevalso - è però un punto molto interessante.